Viaggi di testa
Viaggi di testa
Nessuno si salva da solo
Nessuno si salva da solo.
Anche nel nostro piccolo abbiamo bisogno di qualcuno che ci accompagni.
O che ci prenda per mano.
O che ci dia una spinta.
O che sia un riferimento, da ascoltare, talvolta da emulare.
O di un richiamo.
O di una chiamata.
Questo, si trova, o avviene, se si è alla ricerca, e non si smette di cercare, nonostante tutto.
O se ci si viene a trovare nella condizione di accogliere.
Se, dentro, si sono, consapevolmente o inconsapevolmente, create le condizioni perché ciò avvenga.
Formigli e Massini, racconti e verità sul pianeta che affonda come il Titanic: la cultura che può portare salvezza
Sono stata a vedere ieri sera, a Modena, lo spettacolo di teatro civile di Corrado Formigli e Stefano Massini:
“TITANIC, IL PIANETA AFFONDA MA L’ORCHESTRINA CONTINUA A SUONARE”
Informazione, storie, racconti, di ciò che non si sa e si dovrebbe, o di cui si ha ricordi sbiaditi; di ciò che non viene neanche commemorato, mentre sarebbe importante averne memoria; o di quello che è risaputo, ma su cui si preferisce far calare il silenzio. Quello che non si vuole vedere, per non intaccare l’avanzamento di un inarrestabile progresso, che potrebbe compromettere un mondo di apparente benessere..
Monologhi e dialoghi per far riflettere, per incentivare scelte, e magari per riuscire a far cambiare qualcosa, qualche comportamento. Una goccia nell’oceano, -si può pensare,- ma ricordiamo: sono le gocce che formano gli oceani.
Prendere coscienza, anche attraverso uno spettacolo, un’artista, un giornalista: questa è LA CULTURA. E’ ciò che “mette in luce“, tra tutto lo scontato, il dimenticato, l’ignorato, tra il fare senza pensare alle conseguenze, -ovvero l’irresponsabilta‘.
Ciò che riporta all’attenzione, e fa smuovere le coscienze.
Ciò che amplia la propria visuale, che spesso è ridotta ad un presente senza visione del futuro.
Ciò che, attraverso la conoscenza e il sentire, mette in grado di prendere posizioni.
Quando tutto è cominciato?
E’ una delle domande.
Quando l’uomo ha iniziato a mettere in primo piano il potere, rispetto alla sopravvivenza dell’ambiente, quindi di noi esseri umani. Quando hanno acquistato più valore piaceri effimeri e denaro, rispetto al valore della vita delle persone.
Quando l’uomo ha cominciato a negare, non voler vedere, quello che gli era scomodo seppur nocivo; e da Sapiens si è trasformato in Homo Potents, volto a sovrastare, col potere, le leggi di una natura, che inevitabilmente si ribella, e le leggi dell’etica. A disinteressarsi del futuro, nonostante genitore di figli, che si ritroveranno in eredità devastazioni, squilibri, irreversibilita’.
E come l’orchestrina del Titanic ha continuato a suonare mentre avveniva la tragedia, ci si ritrova a vivere in mezzo al disastro annunciato, magari guardando con ammirazione chi può permettersi un cocktail raffreddato da cubetti di ghiaccio provenienti dagli iceberg della Groenlandia.
Da Greta Thunberg a Rockfeller, dalla grande carestia cinese al più grande disastro ambientale mai avvenuto, in India nell’84, che ha causato, solo all’inizio, 5000 morti, a Bohpal, -me lo ricordo bene, ero una ragazzina-, dalla nostra vicina Ilva, ex Italsider, con i morti che ancora si contano, all’esplosione della piattaforma petrolifera nel golfo del Messico del 2010 (che, chi si ricorda più??), e i danni irreversibili con il riversarsi del petrolio nel mare e nell’aria che respiriamo …
Con la solita incisività, capacità di raccontare e collegare fatti e ragionamenti, Formigli e Massini, ieri sera a Modena, nel caldo torrido di piazza Roma, ci hanno riportato a questi drammi, spesso dimenticati, ai personaggi che hanno tentato di aprire gli occhi all’opinione pubblica, a quelli che hanno avuto delle responsabilità, e a quelli senza scrupoli, con l’obiettivo di sensibilizzare e diffondere.
Riproponendo a noi, alla nostra coscienza, la fatidica domanda
“Che cosa lasceremo ai nostri figli”?
e la riflessione riguardo a se non vale la pena chiederci di che cosa abbiamo realmente bisogno, o di che cosa possiamo fare a meno, e se non sia necessario un cambio di rotta: interrompere l’orchestrina e pensare davvero alla salvezza, per evitare il tragico naufragio, finché siamo in tempo.
Perché, come dicono i nostro eroi, è sempre una questione di scelte.
Bravissimi, Formigli e Massini, per la passione con cui hanno portato questi argomenti, per la passione per l’inchiesta, la ricerca e la condivisione della verità; per l’impegno nel trasmettere l’importanza di fare la propria parte, sempre, e comunque, al di là della propria professione e di conservare la dignità come esseri umani
17.07.2024
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Voglio accorgermi di vivere
Voglio accorgermi di vivere.
Guardare con la voracità di chi accoglie, assorbe, lascia entrare.
Decidere di mollare le distrazioni che portano altrove.
Accorgermi dell’aria che mi sfiora la pelle, del sole che scalda, delle luci che cambiano. Accorgermi che respiro.
Fermarmi ad osservare con coscienza. Vedere. Ascoltare. Fuori. E ascoltare come mi sento dentro.
Sentire l’attimo.
Cercare quiete.
Cercare un posto dove sto bene, e dove posso vedere la vita scorrere nel momento. Assaporarlo.
Accorgermi della meraviglia.
E gioirne.
giugno 2024
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Lisbona e Pessoa: la struggente saudade contagiosa
“Non sono niente,
non sarò mai niente,
non posso voler essere niente.
A parte questo, ho dentro di me tutti i sogni del mondo.
(Tabaccheria, Poesie di Álvaro de Campos, uno degli eteronomi di Pessoa)”
Pessoa è nato a Lisbona e morto a 47 anni di cirrosi epatica.
Poeta inquieto, lucido, realista, tormentato, introspettivo, intenso, controverso, contraddittorio. Come i personaggi inventati con cui firmava le sue opere.
“Sono la scena viva sulla quale passano svariati attori che recitano svariati drammi”.
La difficoltà a tenere insieme tutti i pezzi. La consapevolezza della moltitudine da cui è formato l’animo umano.
Solitatorio e silenzioso.
Concordo con chi dice che travolge come un fiume in piena chi viene in contatto con i suoi scritti.
Io non lo avevo mai conosciuto, se non sentito il suo nome.
Ma mi è bastato un attimo, la lettura di pochi scritti, per sintonizzarmi con la sua anima.
I sentimenti più dolorosi e le emozioni più pungenti, sono quelli assurdi: l’ansia di cose impossibili, proprio perché sono impossibili, la nostalgia di ciò che non c’è mai stato, il desiderio di ciò che potrebbe essere stato, la pena di non essere un altro, l’insoddisfazione per l’esistenza del mondo.
Guardare la realtà, e guardarsi dentro con onestà, contemplando i travagli, l’inquietudine, che alberga, o ha albergato anche nelle anime più gioiose.. con quella saudade struggente per ciò che è andato, si è perso o non si è vissuto, ma che sa di vissuto, di coscienza
Lisbona lo ricorda, e va fiera, di colui che è considerato, postumo, uno dei più grandi poeti in lingua portoghese.
Nel suo ricordo, trasmette completamente la sua energia.
“Siediti al sole. Abdica, e sii re di te stesso”.
E’ sepolto nel chiostro del Monastero do Jeronimos.
Nelle foto, la statua in omaggio a Pessoa nel Chiado, in Rua Garret, nello storico cafe’ da lui frequentato Brasileira; un ricordo all’interno della libreria più antica del mondo, Livraria Bertrand, sempre in Rua Garret; un murales nelll’Alfama;
maggio 2024
tutti gli articoli su Lisbona
Il Cristo di San Giovanni della Croce di Dalì
Quando ascolto quello mi succede davanti a un capolavoro, comprendo nella pratica che è vero che il linguaggio dell’arte è un linguaggio universale, che parla al cuore delle persone. Che tocca qualcosa che appartiene a tutti, nonostante tutto, e nonostante noi, e sopra al livello della coscienza.
Ero a Roma per lavoro, e mi sono trovata, per caso, a dover modificare il mio itinerario, percorrendo via del Corso, da Piazza Venezia, per andare verso Piazza del Popolo.
Arrivando davanti alla chiesa di San Marcello del Corso, un pannello ha catturato la mia attenzione: c’era scritto che all’interno della chiesa era esposto, per un breve periodo di tempo, un dipinto del Cristo di Dalì
Io una mostra di Dalì l’avevo vista a Matera, nel dicembre 2021, e mi era piaciuta moltissimo: in molte parti della città si potevano ammirare le sue sculture più famose, e all’interno di una chiesa rupestre era stata allestita una mostra stupenda dal titolo “La persistenza degli opposti”, dove si trovavano alcuni dei famosi orologi molli e molte altre sue opere.
Non ci ho pensato quindi 2 volte ad entrare nella chiesa, e poco oltre l’ingresso, in uno spazio raccolto, dai toni del rosso, mi è apparso, flebilmente illuminato, il grande dipinto: ho subito capito di essere davanti ad un capolavoro.
Il Cristo di San Juan de la Cruz, o Cristo di Port Lligat, è stato ispirato a Dalì dal frammento piccolissimo di un disegno di San Giovanni della Croce, una reliquia che si trova esposta proprio sotto al dipinto, che non si riesce quasi neanche a vedere, dentro al contenitore dorato che la contiene: bisogna leggere la storia per capire di cosa si tratti. Entrambi i disegni ritraggono il Cristo sospeso sulla croce visto dall’alto, un punto di vista davvero singolare
Ho ammirato il quadro da più angolazioni, e ho ascoltato quello che mi trasmetteva. La prima cosa che mi è saltata all’occhio sono stati i colori, la contrapposizione tra il cielo nero, in alto, e le tonalità dell’azzurro del cielo e del mare, in basso, che fanno pensare alle tenebre della morte, e alla luce, ai colori, della vita.
Sotto alla croce, sospesa nel buio, infatti, come un flash, appare un altro mondo, una barca appena approdata dal mare e un uomo che si accinge a mettere i piedi sulla riva, mentre altri si trovano già su quella terra.
Le sensazioni che mi hanno trasmesso le due immagini contrapposte, sono state l’angoscia, la tristezza che genera la morte di un uomo in croce, in antitesi con la gioia dell’arrivo ad un approdo, dell’uomo che, dal mare, giunge a un porto sicuro. Per i credenti, una scontata successione: il sacrificio di dare la vita, per l’inizio di nuova vita.
Ammirando da lontano non si può fare a meno di notare che il Cristo sembra solo appoggiato alla croce, senza chiodi che lo trattengano, sangue, segni di sofferenza, sul corpo; la testa è reclinata quindi non si vede il viso. Nell’insieme, la croce e il corpo formano un perfetto triangolo equilatero sospeso nel buio. Guardando da vicino, l’imbarcazione sulla riva sembra uscire fuori dal mare, e dal quadro, come fosse tridimensionale
L’emozione che mi è salita davanti a questo quadro di Dalí è stata impetuosa e irrefrenabile: mi sono commossa di fronte a tanta bellezza, e anche dopo essere uscita, ed essermi allontanata, lungo la strada ancora ero pervasa da quello che avevo sentito, e facevo fatica a trattenere le lacrime.
Come mi è successo altre volte, mi sono sorpresa e meravigliata, per la capacità degli artisti di arrivare al cuore delle persone e di riuscire a portarci, con il loro talento, a fare un viaggio oltre il tempo, lo spazio, le differenze, in quelle emozioni, in quel sentire che appartengono universalmente a ciascuno di noi.
giugno 2024
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Le inimmaginabili possibilità che offre la vita
Quante volte ho sentito dire
“C’è n’è sempre una”
(inteso di disgrazia, di cose infauste)
“Non si può mai stare tranquilli”
Come un mantra che diventa leitmotiv della nostra esistenza..
Di conseguenza io ho vissuto con questo timore: che accadesse qualcosa di brutto, che i miei piani venissero sconvolti, che la realizzazione di un mio desiderio venisse compromesso da qualche catastrofe o impedìmento..
Fino al limite della paura che prende il sopravvento, e rende l’attesa piena di ansia. O, addirittura, che porta alla paralisi, alla rinuncia, anche del perseguimento di sogni e obiettivi.
Come vivere con una falce alle spalle, in attesa che venga sferrato il colpo.
Quasi un atto scaramantico obbligato, il pensare al peggio. Per scongiurarlo. O il non voler immaginare la realizzazione di un progetto, per essere preparati, per non restare troppo delusi, nel caso il peggio si venisse davvero a manifestare. -che la delusione, quella no, non sarebbe scongiurata, ci sarebbe comunque, anche avendo pensato al peggio.-
Quasi come pagare un pegno, per poter poi godersi qualcosa di bello. Un paradosso: anticipare il peggio per sentire di potersi permettere il meglio, e per riuscirselo a godere.
Per poi scoprire, magari, che il colpo non arriva, e di aver vissuto momenti ansiogeni per nulla. Che hanno solo rovinato il presente, l’attesa: che hanno fatto rinunciare a vivere. Per un mantra inculcato: “ce n’è sempre una!”
Eppure no, udite udite: non voglio vivere così!
“Ce n’è sempre una”: ma anche di cose belle, quelle che danno carica, nutrimento, energia. Quelle che fanno avere fiducia, ed entrare in contatto con l’energia vitale, e la propria anima autentica. E se ce n’è qualcuna brutta, ce ne sono anche tante belle!
“Non si può mai stare tranquilli”: si mette in moto l’energia, si colgono degli stimoli, talvolta è anche eccitante o necessario, spezzare la routine. E poi, si può stare tranquilli, anche nonostante guai e dolori, guardando a quel che di buono c’è.
Non siamo nati per il dolore, o meglio, non per perseguirlo.
Non ci sarebbero altrimenti la luce, il sole, il mare, la natura
E io non voglio aver timore di dire che sto bene. Di vivere il momento, qui ed ora, con gioia e spensieratezza, quando posso farlo.
Non voglio avere il timore di fare autoavverare la profezia funesta. Di godere dell’entusiasmo per i progetti.
Voglio permettermi, concedermi, di credere che ci siano in serbo altre possibilità per me. Guardare avanti con fiducia.
Voglio pensare alle infinite, inimmaginabili, opportunità che la vita può offrirmi. Anche a fronte di qualsiasi cosa, prevedibile o non prevedibile, che possa accadere.
Possano le tue scelte
riflettere le tue speranze,
non le tue paure
N. Mandela
Aprile 2024
(in foto: Petra e Peloponneso)
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tutte le riflessioni
La gioia che ci spetta
Ci sono dei momenti in cui abbiamo proprio voglia di piangerci addosso.
È una cosa inconsapevole, ma è come voler entrare in uno spazio conosciuto, che, anche se ci fa star male, ci conforta.
Sappiamo come muoverci, quali saranno le reazioni del nostro pubblico, perché abbiamo messo in scena la stituazione tante volte.
Entriamo in un personaggio di cui conosciamo le battute, recitiamo una parte che abbiamo provato tante volte, che conosciamo a memoria, e che si ripete, e che ci riporta sempre nel solito conosciuto copione.
Eppure, sentiamo come di averne bisogno.
La sua ripetizione ci da una certa sicurezza.
Non importa se riviviamo una sofferenza.
Anzi.. il crogiolarsi nel nostro dolore forse ci dà la sensazione di essere vivi.
Siamo incapaci, o forse ignavi, di tentare strade diverse, dirci cose diverse.
È anche così che ci attiriamo le stesse esperienze. Che diventiamo come uno di quei cricetini che girano sulla ruota, ed usano le loro energie per farla andare. Si arrabattano anche se non si spostano di un millimetro, restano sempre nello stesso posto. E poi, scarichi ed esausti, riposano, per essere poi pronti per ricominciare. Non andando mai da nessuna parte.
Magari ciò non ci rende felici, ma siamo diventati dipendenti da questo modo di scaricarci e di mantenere un’omeostasi. Giungendo poi alle solite conclusioni, ovvero: sono sempre fermo qui.
Come si esce da essere come quei cricetini, non lo so: forse con un calcio nel culo da parte di qualcuno, o di qualcosa, un evento che ci capita o che ci siamo attirati.
Sarebbe sicuramente utile un atto di volontà: lasciare la ruota, e fare qualche passo fuori dalla gabbia.. incerto, con timore o addirittura terrore, perché non siamo più nella nostra comfort zone, ma nell’ignoto. Un ignoto che però potrebbe darci la speranza di qualcosa di diverso dalla solita ripetizione, farci sperimentare cosa c’è d’altro, cosa c’è di nuovo.. A piccoli passi e un passo dopo l’altro. Che correre, subito, forse non ne saremmo capaci, o potrebbe portarci a sbattere.. occorre prudenza.
Prudenza, coraggio e volontà.
Vincere la voglia di guardarsi indietro, la nostalgia di quel conosciuto che, se per noi è disfunzionale, se non ci conduce verso il nostro cammino, ma ripercorre quello imparato e impartito da qualcun’altro, non ci porta verso la gioia, ad esprimere la nostra anima autentica: quella che ci fa sentire in contatto con noi, e con qualcosa di più grande, e ci fa sentire bene.
Trovare la forza per guardare ferite, traumi, difese, e risposte apprese, per comprenderle, lavorarci, e depotenziarle.
Per perseguire quella gioia a cui abbiamo diritto
Non siamo nati per il sacrificio, per il dolore: quelli ci sono comunque nella vita. Non devono essere l’obiettivo verso cui tendere, ma il mezzo per comprendere come godere delle cose belle che il mondo ci offre.
Che ci sono. Che possiamo vedere, toccare, respirare.. se guardiamo avanti e ci guardiamo attorno.
E, soprattutto, se guardiamo dentro.
Dalla parte della luce.
aprile 2024
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aprile 2024
Sarebbe bello essere come un albero
Sarebbe bello essere come un albero.
Con le radici ben piantate a terra e la chioma sempre rivolta al cielo.
Saldo di fronte alle intemperie. Sicuro dell’avvicendarsi delle stagioni. Fermo e presente, sempre al suo posto. Imperturbabile rispetto ai cambiamenti del tempo.
Invece capita di trovarsi di fronte alla propria fragilità.
E alla realtà, che è caduca, complessa e imprevedibile.
Incapaci di stare.
Pronti a scappare sotto una difesa, che non protegge ma diventa un muro. Quando stare nella realtà diventa doloroso, perché cadono le aspettative, e si deve rinunciare alle illusioni. E a volte anche i sogni si frantumano.
Si rischia di cadere nel precipizio del vuoto
E in quel momento, nel vuoto, nel pozzo nero, sarebbe importante guardare in alto.
Alla chioma dell’albero, al cielo azzurro..
E se non si riesce a vedere, pensarlo. Immaginarlo. Che c’è, là fuori, e ci aspetta. Presente, come l’albero.
È dal profondo delle radici, dal buio della terra, che si può germogliare.
Si può emergere, e andare verso la luce, aspirare al cielo.
Aspirare a diventare albero.
Aprile 2024
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25 Aprile Festa della Liberazione a Monte Sole, MARZABOTTO (BO)
Pur essendo nata a Bologna, e vivendo nella provincia, non ero mai stata a Monte Sole.
Oltre ad essere un bel parco naturalistico, in mezzo agli splendidi colli bolognesi, Monte Sole è tristemente noto per l’eccidio di Marzabotto (e dintorni) del 1944, ad opera dei nazisti: 7 giorni di barbarie, con l’uccisione di 770 civili. Un massacro per contrastare il movimento partigiano locale che si era costituito, la Stella Rossa, e disincentivare con il terrore ogni forma di resistenza
Al Parco storico di Monte Sole, è stato istituito un Memoriale, un vero e proprio luogo di testimonianza, -e per non dimenticare,- ed è un luogo simbolo di commemorazione, ogni anno, del 25 aprile
Oggi c’era molta gente a Monte Sole.
Come noi, a fare fila per prendere una navetta, o a percorrere oltre 5 km di salita.
Ad ascoltare parole su cui riflettere, a riconoscere valori comuni, a confermare da che parte stare
Ad assistere a coinvolgenti spettacoli-testimonianza, come quello di Andrea Pennacchi (piu conosciuto come il Poiana), o di Aldo Cazzullo e Moni Ovadia.
A farsi toccare da quei luoghi, dai volti, in mostra, nelle foto dei partigiani, a leggere la storia.
A voler sapere, voler condividere, voler educare (molte famiglie anche con bambini piccoli presenti).
Tante persone su quei bei prati, davanti a delle splendide colline, stesi su una coperta, o che ballavano al ritmo dei tamburi, oppure che seguivano gruppi che suonavano o cantavano
In mezzo a tanta morte che è stata, un senso di celebrazione della vita.
Un popolo di persone diverse, nel senso, non tutti uguali, come si vedono spesso di questi tempi, e in un tripudio di colore. Presenti e accomunate in questa ricorrenza importante: il giorno della liberazione.
A commemorare libertà e vita.
Un popolo di persone che esiste, e che resiste, mi viene da dire.
In un luogo che, insieme alla tristezza che emana, immerge in una bellezza più grande e più forte di tutto il resto, tra un Bella Ciao e un altro.
25 aprile 2024
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Credi in quello che vedi ma non credere che sia tutto lì
Nel mio blog, come in quello degli altri, sui social, ma anche sui media, e persino con le persone davanti, credi in tutto quello che vedi e che leggi, ma non immaginare altro, e non credere che sia tutto lì.
La vita non è solo quel momento che vedi, spesso il migliore, quello che è, o che appare, bello e felice. Perché essa, la vita, non è mai sempre facile e luminosa, come potrebbe sembrare. E da questo nessuno è escluso.
Quello che leggi, o si percepisce, è solo una parte, e, a volte, si vuole avere rispetto della propria privacy, e della propria anima. E i momenti più duri si può avere piacere di condividerli con pochi intimi, o tenerli per sé. O, a volte, addirittura, quando se ne parla, anche il dolore mostra una visione parziale.
Pertanto, prendi spunto, prendi nota, prendi quello che ti serve, da quello che vedi e che leggi, e fatti contagiare, se ne hai bisogno.
Ma non dimenticare che dietro alla luce esiste l’ombra, e viceversa. E che noi facciamo parte di un inscindibile tutto: siamo gioie e dolori, entusiasmi e difficoltà, vitalità e cupezza. E fatica che non appare.
E che la vita delle persone non è solo il momento che vedi, o che ti viene mostrato, e non è sempre e tutta così.
La verità, per intero, spesso è nascosta in quello che non si dice, in quello che non traspare, in quello che non si immagina, e di cui è importante avere rispetto.
Se anche c’è una principale responsabilità di chi scrive, comunica e mostra
” Sii sempre gentile: ogni persona che incontri sta combattendo una dura battaglia di cui non sai nulla”
(frase attribuita a vari autori)
E, ancora, ricorda il famoso proverbio indiano:
“Prima di giudicare una persona cammina per 3 lune nei suoi mocassini”
E se non ti viene permesso di indossare i mocassini altrui, per ragioni che non sai, sii magnanimo, astieniti dal pontificare e dal presumere.
E pensa che ognuno ha le proprie ragioni.
Proprio come tu hai le tue.
marzo 2024
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