Pensieri e Parole
Fai la brava
“Fai la brava..”
E io volevo fare la brava, per accontentarti, per essere amata da te.
Fai la brava.. ma io non avrei voluto fare la brava, avrei voluto fare quello che mi sentivo.
Fai la brava.. E no che non la volevo fare la brava, mi volevo ribellare, fare la mia vita, non quella che pensavi tu.
Fai la brava, cioè sii misurata, mentre io volevo esplodere, fare faville.
Fai la brava .. e io a cercare di obbedire, sentendo di non essere mai brava abbastanza, anzi non essere mai abbastanza per soddisfare le tue aspettative.
Fai la brava.. e non sapere più cosa volevo.
Fai la brava… che se non lo fai chissà cosa succede. E la paura poi, di quello che può succedere, che non mi abbandona mai.
Fai la brava.. per essere amata dal mondo.
Ma fai la brava a fare che? A non fare che??
Io, a quel tempo, neanche lo capivo, e questo imperativo ha assunto il potere che ha il non detto.
Fai la brava.. ancora oggi quella vocina. Ancora oggi quella lotta dentro, tutti quei dubbi, per capire che cosa è giusto per me, quale sia la decisione giusta.
Fai la brava.. quando avrei avuto bisogno, invece, di sentir dire: fai quello che sente il tuo cuore, obbedisci alla tua anima o, ancora, fai quello che ti fa stare bene, e ti rende felice.
Allora, forse, tutto sarebbe stato meno complicato.
E solo oggi, per me, dopo tanto lavoro, l’unico senso che trovo e riconosco in quelle parole è:
Sii una brava persona
maggio 2025
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Sono un camaleonte
Sono un camaleonte
Mi plasmo a situazioni e persone. Mi adatto e mi adeguo, talvolta vorrei assomigliare.
Sono un camaleonte. Cambio forma e colore, divento come te, divento te. Mi trovo nei tuoi panni, sento cosa significa essere te.
Sono un camaleonte. Sono empatica. Sento quello che senti dentro, soffro e gioisco con te, come te. Mi identifico, spesso mi confondo, o mi fondo, perdo i confini. Mi trasformo. Eccessivamente comprensiva, a volte, tal’altre sfidante, con ciò che non mi appartiene. Poco di tutto, tutto di poco.
Sono un camaleonte, e spesso faccio fatica a sapere quale sia la mia vera natura. Sostenitrice del detto che il contrario di una verità è un’altra verità, implicata nella danza degli opposti, in preda a rimurginio e dubbio continuo, oscillante tra estremi. Un pò fuori da schemi e convenzioni, ma incapace di abbandonarli, ribelle obiettiva e anti conformista, ma non troppo.
Sono un camaleonte. Sensibile a quello che mi circonda, per rispetto. Mi muovo lenta, e mi guardo bene tutto intorno prima di farlo, prima di agire, prima di parlare. A volte preferisco nascondermi, camuffarmi, proprio per non essere vista, osservare solo il mondo e ascoltarmi, nella mia solitudine e con la mia pigrizia.
Sono un camaleonte. Mi mimetizzo nel mondo, assorbo il bene e il male. A volte non lo sopporto e me ne difendo; il mio cuore sente amplificato. Non ho grande personalità ma posso capire profondamente; posso essere l’avvocato del diavolo, il grillo parlante, la tua coscienza. Farti vedere l’altra parte, il rovescio della medaglia, che pure comprendo, e, a volte, in modo nocivo, giustifico.
Incostante e mutevole, come un camaleonte ho la lingua lunga, e spesso faccio fatica a frenarla. Se riesco a farlo, i segnali del mio corpo parlano al posto della voce, come il camaleonte cambia colore all’evenienza. E non può nasconderlo, tutto avviene involontariamente, come i colori che cambiano e risaltano, alla luce del sole: tutto è alla luce di quello che è.
Sono un camaleonte, e questo è quello che mi è stato dato: pelle fragile, equilibrio precario. Ma, forse, dietro i muri che alzo per proteggermi, dietro a quegli occhi che scrutano a 360 gradi per capire chi può essere nemico, posso essere anche molto di più: posso accogliere e aprire lo sguardo al colore, e, come un camaleonte, posso riflettere e mostrare la bellezza del mondo.
maggio 2025
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Sogni a breve termine
Posso solo concedermi sogni a breve termine.
Non posso più permettermi progetti troppo avanti nel tempo. Le circostanze della vita mi impongono di vivere più possibile nel qui e ora, e se non alla giornata, di non guardare oltre una settimana, qualche settimana, qualche mese.
Di investire poco, tenere misurato un entusiasmo che freme. E tuttavia di non deporre la speranza in quel che può arrivare, nella potenza del bello non previsto e prevedibile.
È una condanna, per chi i sogni li costruiva piano piano, nei dettagli; li pianificava e li custodiva. Gli riempivano i vuoti, i tempi bui, i giorni senza senso, o le notti insonni. Per chi dai sogni si faceva cullare, spremeva entusiamo, e ingannava le attese di momenti migliori o desiderati.
E quando è più il tempo che è passato rispetto a quello che resta, anche i sogni vanno selezionati: eliminati quelli impossibili, conservati quelli più ambiti e possibili.
Diventa necessario credere che ognuno dei sogni rimasti deve trovate il suo spazio, continuando a dare forza e motivazione. Cercare di non lasciarne indietro nessuno, infilarli appena possibile, in quel tempo finito che rimane.
Diventa importante credere che anche i sogni a breve termine servono per sopravvivere.
Sono condannata a sogni a breve termine.
Ma l’importante è averli i sogni, perseguire quelli più vicini e attendere per quelli più lontani. Prepararli e chiuderli in un cassetto, per ritrovarli lì pronti, per essere tirati fuori all’occasione, e restare stupiti dalla loro improvvisa realizzazione. O da altri sogni non sognati, improvvisati, che hanno preso il posto, sorprendendo per la loro magnificenza.
Perché certi momenti sono cosi: si puo solo sognare a breve termine.
E il segreto è di non smettere di sognare
“C’è che ormai che ho imparato a sognare
non smetterò”
Ho imparato a sognare
Quando inizi a scoprire
Che ogni sogno
Ti porta più in là
Cavalcando aquiloni
Oltre muri e confini
Ho imparato a sognare da là
Quando tutte le scuse
Per giocare son buone
Quando tutta la vita
È una bella canzone
C’era chi era incapace a sognare
E chi sognava già
Tra una botta che prendo
E una botta che do
Tra un amico che perdo
E un amico che avrò
Che se cado una volta
Una volta cadrò
E da terra, da lì m’alzerò
C’è che ormai che ho imparato a sognare non smetterò
“Non siamo noi ad acchiappare i nostri sogni. Sono i nostri sogni che acchiappano noi.
Tu fatti acchiappare dai tuoi sogni.
Non smettere di credere in quello in cui hai sempre creduto”
Chiara Gamberale – Dimmi di te
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Sono assetata
Sono sempre stata assetata.
Assetata di cose che fanno battere il cuore, di cose che risuonano nell’anima.
Assetata di bellezza, di meraviglia, di stupore; assetata di stimoli, di carezze, di amore; assetata di esperienza di conoscenza, di parole.
Di parole che vanno in profondità e scuotono. Che creano connessioni; che mi fanno comprendere. Che mi fanno pensare, e sentire che quello che provo, o penso, ha un senso.
Sono sempre stata assetata.
Ho cercato, curiosa. Ho trovato, e mi ha consolato. In qualche modo ha dato un senso ai dubbi, conferme a quello che mi dicevo, su cui dubitavo, perdendomi e sconfinando.
Ho cercato e assorbito, per non precipitare, per non soccombere.
Ho cercato per accendere una luce.
Mi sono guardata intorno per portare la vita che c’era fuori, dentro di me.
Ero assetata di linfa vitale.
Ho cercato di placare la mia sete.
Non so se sia stata, e sia, la cosa giusta, ma tutto quello che ho fatto mi ha permesso di arrivare al momento successivo. Ha messo in moto qualcosa dentro.
E mi ha consentito, e mi consente, di sopravvivere, in, e a, certi momenti.
“Rivolgo sempre alla vita la stessa preghiera: fammi battere il cuore.
Chiedo alla gente: divertimi.
Chiedo alla giornata: stupiscimi.
Ci rimango male se non succede, anzi, di più: non so giocare se non succede.
E come faccio a chiamarlo serenità questo veleno lento che mi sale per le ginocchia, comincia ad arrampicarsi prima che io mi svegli, apro gli occhi e lo trovo già nei polpastrelli che mi aspetta?
Non mi sfascia in due dal dolore, è vero… se mi sfasciasse in due almeno lo riconoscerei..
Sono sopravissuta..potreste promettermi che dunque, sopravviverò.
Invece questo veleno mi lascia intatta. E proprio così m’ammala, così m’ammazza!”
Chara Gamberale – Dimmi di te
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Lavori in corso
Ho smesso di chiedermi se la mia vita ha un senso e che senso ha la vita.
Ho smesso di pre-occuparmi, vivendo in anticipo qualcosa, che magari mai succederà.
Ho smesso di credere a chi mente, dicendo che non trova il tempo, quando invece è solo questione di scelte.
Ho smesso, anche se ci sono ancora degli strascichi, di sentirmi sbagliata, di pensare che le ragioni degli altri possano essere migliori delle mie, e di giustificare apparenti vittime, inconsapevoli carnefici.
Non ho smesso di sentire fatica ad alzarmi la mattina, a mettermi in moto per fare cose che forse poco mi interessano, ma che, in qualche modo, devo fare.
Non ho smesso di replicare, anziché ascoltare, di preferire chi è d’accordo con me, a chi ha idee e sensibilità opposte, di cercare stimoli compulsivamente, anzichè scegliere momenti di silenzio. Ma lo riconosco, ed è già qualcosa.
Non ho smesso di aspettarmi cose e comportamenti, e di restare delusa quando non rispecchiano le mie aspettative. Ma ci sto lavorando sopra.
Non ho smesso di sentirmi in colpa se mi concedo cose belle, quando parlo con qualcuno che fa scelte diverse.
Non ho smesso di tornare la bambina di un tempo quando vengono stuzzicate le mie ferite: l’adulto fa ancora fatica ad attivarsi con la ragione, e a dare risposte diverse.
Non ho smesso di mettermi in discussione, di guardarmi in profondità, di indignarmi, di cercare l’onestà, di ambire a una pace interiore.. con quali risultati, non lo so.
Non ho smesso di essere anche troppo sincera, con me e con gli altri, di far fatica a tacere, o evitare che la mia faccia parli per me. O, a volte, di non riuscire a dirlo, quel qualcosa di sincero, e poi non sentirmi bene, perché ho tradito me stessa. E questo credo non riuscirò a impararlo.
Non ho smesso di irritarmi per i cambiamenti, e invece a volte di desiderarli come una necessità. E di oscillare tra un estremo e l’altro, di frequente con non pochi conflitti, dimenticando che questo è il tutto di noi esseri umani.
Non ho smesso di essere curiosa: questo mi ha salvato in passato, e credo che ancora possa salvarmi.
Non ho smesso di sperare, di sognare, di farmi prendere dall‘entusiasmo, perché anche questo credo che per me sia salvezza.
Non ho smesso di restare incantata dalla bellezza della natura, dalla forma degli animali, dalla meraviglia delle opere dell’uomo, e dall’arte, che mi toccano l’anima e mi nutrono. Non ho smesso di amare di camminare al mattino presto sulla spiaggia, di prediligere le persone empatiche, di preferire il silenzio alle troppe parole.
Non ho smesso di cercare quello che mi fa stare bene, che mi fa sentire viva e apprezzare il mondo, e anche di non soccombere ai pesi della vita. Spesso al prezzo di dover far dialogare le mie vocine interiori, che frenano, che cercano giustificazioni, e mi sfiniscono. Il desiderio di non sprecare la vita ancora prevale.
Non ho smesso di aver paura di sprecare il tempo, con l’aggiunta, ora, di essere spaventata di invecchiare, e di averne poco, di tempo. Che si veda sulla mia faccia, sul mio corpo, e di non vedere quello che vedono gli altri.
E non ho smesso, anche se lo ritengo altamente improbabile, di sperare di diventare un’anziana stimata saggia, anziché una vecchia e indesiderabile rompicoglioni, lamentosa e a cui non va mai bene niente, irriducibile e troppo attaccata alla vita.
Ma qui, c’è ancora molto lavoro da fare.
“Uno su mille ce la fa..
ma quanto è dura la salita,
in ballo c’è la vita..
Gianni Morandi
gennaio 2025
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Nebbia in COSTIERA (la bellezza oltre tutto) – CAMPANIA
Ho visto una nebbia nella costiera amalfitana, a febbraio, che neanche in Valpadana.
Visibilità limitatissima. Muro bianco davanti.
Eppure, anche la nebbia in costiera ha un suo fascino.
L’ho vista passare, coprire, e rischiarare; muoversi come zucchero filato; imbiancare lo sfondo, dando argomento all’immaginazione.
Ho visto le nuvole così vicine che le potevo toccare, che in certi momenti sbiancavano perfino quello che avevo in primo piano. Che, coprendo il contorno, spostavano la mia attenzione a quel che avevo vicino, a pochi metri, proprio davanti: un grande pino marittimo, che diventava il protagonista. Il tronco lungo, la chioma aperta, i rami agitati dal vento, gli aghi verdi ballerini.
L’albero e la voce del vento, immersi in un candore irresistibilmente seducente, che tutto aveva avvolto: impossibile vedere oltre, vedere altrove. Impossibile vedere lontano. Che faceva vedere anche i riccioli di metallo della ringhiera verde, il colore in risalto delle piastrelle, i particolari, che, diversamente, non si notano
Per poi andarsene, la nebbia. Alzarsi e liberare il campo; la costa ridisegnarsi, i confini tornare definiti, e chiari i particolari.. E lasciare di nuovo spazio a quella bellezza che era rimasta nascosta per mostrarne una diversa.
E questa sono io, irriducibile mentre, a dispetto del cattivo tempo e della visibilità zero sulla costiera, all’alternarsi di bianco e grigio, dal mio balconcino panoramico, scelto apposta per la vista, a Ravello, non mi ingastrisco, non mi dispiaccio, non impreco contro la sfortuna. Non rinuncio al mio momento.
Attendo quel che viene, e cambia, mi godo quel che c’è.
Guardo, vivo in profondità, e scopro altra e diversa bellezza.
Posso vedere meglio, e di più.
Respiro, e apprezzo quel che ho davanti.
La mia esperienza frequente è che a restare positivi si ha una doppia grazia: non ci si avvelena il presente e spesso arriva una ricompensa (e, anch’io, questo me lo devo sempre ricordare).
E un raggio di sole tanto atteso, in mezzo alla burrasca, che si fa spazio piano piano, è un grande dono: un momento da cui “succhiare tutto il midollo”, di cui gioire al massimo.
Un motivo per riservare infinita meraviglia e gratitudine 🙏.
Andai nei boschi per vivere con saggezza,
vivere in profondità,
e succhiare tutto il midollo della vita,
per sbaragliare tutto ciò che non era vita
e non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto.
Henry David Thoreau
febbraio 2025
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articoli sulla Campania
Guardando il monte
Il suono del fiume che scorre
Le creste grigie frastagliate del Latemar che svettano nel cielo
Il contrasto col verde degli abeti e dei prati
Il marrone del legno del tetto e del terrazzino, che da la sensazione di montagna
Il profumo della vegetazione che inebria
I colori del lago e i monti che si rispecchiano…
Ho amato questo monte, il Latemar
Ho dormito ai suoi piedi
Ho visto batterci la luce del tramonto
E poi quella dell’alba.
Ho visto cambiare colore alle sue pareti ruvide, alle sue conche lisce, ai suoi spigoli, coi riflessi del sole.
L”ho visto con quella luce che offusca la nitidezza, ma fa risaltare il verde degli abeti in primo piano.
Ho osservato ogni sua punta aguzza frastagliata, nel cielo azzurro.
Ho visto passare sopra gli aerei piccoli piccoli, ricordando di ogni volta che ero io, su quell’areo, e osservavo dall’alto le montagne e la meraviglia.
Ho visto le nuvole cingergli le cime, le ho guardate muoversi, trasformarsi e dileguarsi.
Ho osservato i segni del tempo che hanno scavato, modellato, eroso.
Ho pensato all’azione del tempo, a ciò che si trasforma , tras – forma, cambia forma, ma resta.
Ho pensato a ciò che rimane in mezzo a tutta questa impermanenza, ai riferimenti che mantengono saldi, e danno la forza.
Ho pensato a ciò che è grande di fronte alle tante piccolezze, che spesso inquinano i nostri giorni
Ho pensato alla gioia, quella che viene da dentro, ma anche a tutte le ansie, le difficoltà di questo tempo, e a come affrontarle per non soccombere dal loro peso. E ho cercato la forza in quel che vedevo.
Ho pensato a quante possibilità può offrire la vita, se solo si ha un pò di fantasia e coraggio.
Ho assaporato quanto sia bello lasciar correre i pensieri, e poi rincorrerli, avere questa libertà. E poi cercare di spazzarli via, per creare momenti di vuoto, solo presenza.
Ho sentito quanto sia bello poter spaziare, sconfinare, liberarsi da quei limiti tanto cercati, ma che confinano.
Ho pensato a quanto sia importante, a volte, pensare in grande, sognare in grande, rischiare in grande.
Ho desiderato che quei momenti, a cospetto della montagna, del cielo, di me, non finissero mai, e ho amato quegli istanti in modo quasi struggente. Come se fossi, io, davanti all’infinito
Ho pensato al nutrimento che arriva dalla bellezza.
E a quanto mi ha trasmesso: un senso di potenza, di grandezza, di protezione.
Quella bellezza che mai devo dimenticare che c’è, e mai devo smettere di cercare.
E all’importanza di andarsela a trovare, di non farsi sovrastare dall’insensatezza, dalle cattive abitudini, dai cattivi pensieri, dalla tristezza, e dalla morte.
Perché quella,
la grande bellezza, la forza della vita che continua,
è lì, sempre presente, permanente.
Come il monte.
Il paradiso, come l’inferno è qui, sulla terra.
agosto 2024
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Giro in motoslitta sulle DOLOMITI, a MISURINA, e nevicata in CADORE
In giro per l’Appennino Tosco Emiliano in estate: il monte Cimone e il lago della Ninfa (MO)
Auguri e preghiere per l’anno 2025

Nonostante tutto, nonostante le impossibili pianificazioni, voli bassi e sogni messi da parte; nonostante non sia stato un anno di viaggi lontani, o lunghi, il 2024, -tutt’altro,- per varie situazioni che si protraggono da tempo, – ogni mese ho avuto una boccata d’aria, -talvolta con occasioni di lavoro, talvolta come sogni che dormivan nel cassetto,- vissuta intensamente e con immensa gratitudine








Non sarà stato gran che, rispetto a tanti viaggi e viaggiatori, ma io mi sento grata: sento di aver goduto di ogni istante, e assaporato la grande bellezza che il mondo, vicino o lontano, può offrirci. 













Nessuno si salva da solo

Nessuno si salva da solo.
Anche nel nostro piccolo abbiamo bisogno di qualcuno che ci accompagni.
O che ci prenda per mano.
O che ci dia una spinta.
O che sia un riferimento, da ascoltare, talvolta da emulare.
O di un richiamo.
O di una chiamata.
Questo, si trova, o avviene, se si è alla ricerca, e non si smette di cercare, nonostante tutto.
O se ci si viene a trovare nella condizione di accogliere.
Se, dentro, si sono, consapevolmente o inconsapevolmente, create le condizioni perché ciò avvenga.
Formigli e Massini, racconti e verità sul pianeta che affonda come il Titanic: la cultura che può portare salvezza
Sono stata a vedere ieri sera, a Modena, lo spettacolo di teatro civile di Corrado Formigli e Stefano Massini:
“TITANIC, IL PIANETA AFFONDA MA L’ORCHESTRINA CONTINUA A SUONARE”
Informazione, storie, racconti, di ciò che non si sa e si dovrebbe, o di cui si ha ricordi sbiaditi; di ciò che non viene neanche commemorato, mentre sarebbe importante averne memoria; o di quello che è risaputo, ma su cui si preferisce far calare il silenzio. Quello che non si vuole vedere, per non intaccare l’avanzamento di un inarrestabile progresso, che potrebbe compromettere un mondo di apparente benessere..
Monologhi e dialoghi per far riflettere, per incentivare scelte, e magari per riuscire a far cambiare qualcosa, qualche comportamento. Una goccia nell’oceano, -si può pensare,- ma ricordiamo: sono le gocce che formano gli oceani.
Prendere coscienza, anche attraverso uno spettacolo, un’artista, un giornalista: questa è LA CULTURA. E’ ciò che “mette in luce“, tra tutto lo scontato, il dimenticato, l’ignorato, tra il fare senza pensare alle conseguenze, -ovvero l’irresponsabilta‘.
Ciò che riporta all’attenzione, e fa smuovere le coscienze.
Ciò che amplia la propria visuale, che spesso è ridotta ad un presente senza visione del futuro.
Ciò che, attraverso la conoscenza e il sentire, mette in grado di prendere posizioni.
Quando tutto è cominciato?
E’ una delle domande.
Quando l’uomo ha iniziato a mettere in primo piano il potere, rispetto alla sopravvivenza dell’ambiente, quindi di noi esseri umani. Quando hanno acquistato più valore piaceri effimeri e denaro, rispetto al valore della vita delle persone.
Quando l’uomo ha cominciato a negare, non voler vedere, quello che gli era scomodo seppur nocivo; e da Sapiens si è trasformato in Homo Potents, volto a sovrastare, col potere, le leggi di una natura, che inevitabilmente si ribella, e le leggi dell’etica. A disinteressarsi del futuro, nonostante genitore di figli, che si ritroveranno in eredità devastazioni, squilibri, irreversibilita’.
E come l’orchestrina del Titanic ha continuato a suonare mentre avveniva la tragedia, ci si ritrova a vivere in mezzo al disastro annunciato, magari guardando con ammirazione chi può permettersi un cocktail raffreddato da cubetti di ghiaccio provenienti dagli iceberg della Groenlandia.
Da Greta Thunberg a Rockfeller, dalla grande carestia cinese al più grande disastro ambientale mai avvenuto, in India nell’84, che ha causato, solo all’inizio, 5000 morti, a Bohpal, -me lo ricordo bene, ero una ragazzina-, dalla nostra vicina Ilva, ex Italsider, con i morti che ancora si contano, all’esplosione della piattaforma petrolifera nel golfo del Messico del 2010 (che, chi si ricorda più??), e i danni irreversibili con il riversarsi del petrolio nel mare e nell’aria che respiriamo …
Con la solita incisività, capacità di raccontare e collegare fatti e ragionamenti, Formigli e Massini, ieri sera a Modena, nel caldo torrido di piazza Roma, ci hanno riportato a questi drammi, spesso dimenticati, ai personaggi che hanno tentato di aprire gli occhi all’opinione pubblica, a quelli che hanno avuto delle responsabilità, e a quelli senza scrupoli, con l’obiettivo di sensibilizzare e diffondere.
Riproponendo a noi, alla nostra coscienza, la fatidica domanda
“Che cosa lasceremo ai nostri figli”?
e la riflessione riguardo a se non vale la pena chiederci di che cosa abbiamo realmente bisogno, o di che cosa possiamo fare a meno, e se non sia necessario un cambio di rotta: interrompere l’orchestrina e pensare davvero alla salvezza, per evitare il tragico naufragio, finché siamo in tempo.
Perché, come dicono i nostro eroi, è sempre una questione di scelte.
Bravissimi, Formigli e Massini, per la passione con cui hanno portato questi argomenti, per la passione per l’inchiesta, la ricerca e la condivisione della verità; per l’impegno nel trasmettere l’importanza di fare la propria parte, sempre, e comunque, al di là della propria professione e di conservare la dignità come esseri umani
17.07.2024
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