Elogio alla fuga
Chi non ha mai desiderato di fuggire, scappare, per allontanarsi da una situazione difficile, uscire dall’impasse, lasciarsi alle spalle momenti dolorosi o spiacevoli, il proprio mondo, le cose che gli stanno attorno, almeno per pochi istanti?
Tanti i giudizi di chi dice che fuggire non serve.
Che i problemi restano.
Che la realtà non cambia.
E invece puo’ servire.
A volte la fuga è la cosa piu’ sana che si possa fare.
Soprattutto quando non se ne esce, da una situazione.
Quando l’alternativa è l’immobilismo, la paralisi.
Quando non si riesce a trovare una soluzione o non c’è una soluzione. Almeno per il momento.
E qualche attimo di respiro puo’ pacare l’animo.
A volte si fugge inconsapevolmente.
D’istinto.
Per difendersi.
Anche gli animali, quando hanno paura o si trovano di fronte a un ostacolo attaccano o fuggono.
Se la fuga diventa una modalità, per non affrontare i problemi o una realtà sgradevole, puo’ non giovare, e diventare solo un modo per rimandare il momento di stare dentro al problema, che difficilmente si risolve da solo. E allora è bene, forse, domandarsi perché si continua a fuggire e da cosa. Domandarsi perché farebbe troppo male fermarsi e se non valga la pena farlo ed andare un po’ a fondo. Che a fuggire sempre, non si va molto avanti.
Ma quando la fuga è utile per distaccarsi, riprendere le forze e ricontattare qualcosa di piacevole, o anche salvaguardare la propria incolumità emotiva, allora non solo è sana ma puo’ essere necessaria.
Lo ha scritto anche Laborit nel suo saggio, “Elogio alla fuga”:
“Quando non può lottare contro il vento e il mare per seguire la sua rotta, il veliero ha due possibilità: l’andatura di cappa che lo fa andare alla deriva, e la fuga davanti alla tempesta con il mare in poppa e un minimo di tela.
La fuga è spesso, quando si è lontani dalla costa, il solo modo di salvare barca ed equipaggio.
E in più permette di scoprire rive sconosciute che spuntano all’orizzonte delle acque tornate calme.”
Uscire dalla propria gabbia, quando questa ci impedisce di espanderci, di trovare soluzioni creative.
Ampliare i propri orizzonti.
Vedere nuovi ambienti e panorami.
Fare un viaggio.
Leggere un libro o vedere un film, entrando nella storia di qualcun altro.
Distrarci, facendo qualcosa che ci piace fare, ci ricarichi e ci dia nutrimento.
Andare verso il piacere.
Non risolve, ma fornisce nuova energia per continuare.
Fuggiamo in qualcosa in cui ci si possa rifugiare.
In un mondo magico.
In un gruppo.
Nella fede.
Nella natura. Nella cultura. Nella bellezza.
Fare un salto che ci porti fuori dai nostri pensieri. Fuori da noi, dalla nostra mente.
Sbloccando l’angoscia, se è presente.
Perchè a volte è proprio quello che ci vuole. Per sopravvivere alla quotidianità o alle sfide della vita.
E allora, io faccio un “elogio della fuga non per indietreggiare, ma per avanzare”, per “scoprire rive sconosciute che spuntano all’orizzonte delle acque tornate calme.”.
(foto Pixabay e Patrizia Pazzaglia)
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