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Figli adolescenti e genitori: il senso di invasione in adolescenza

 

 

Qualsiasi cosa io faccia, o dica, qualsiasi passo, come madre di figlia adolescente, viene percepito da lei come invadenza.

Non metto in dubbio che davvero io possa essere una madre invadente, se penso a quelli che sono stati i miei vissuti. Il mestiere di madre (di genitore comunque), e anche l’indole, credo consista anche nel prendersi cura dei figli fino alla loro indipendenza (o almeno fino alla maggiore età), e per fare questo, nel periodo dell’adolescenza, quando cominciano a sganciarsi, ad essere ermetici, a non voler far sapere, a sperimentare, noi dobbiamo ancora vigilare, osservando, domandando. Ma anche questo, per quanto a noi possa sembrare essere fatto delicatamente, informalmente e buttato lì, viene spesso sentito comunque come una intromissione.

Loro si sentono già grandi, e per tante cose lo sono, ma non sono grandi per tutto; stanno sperimentando, e hanno ancora tanto da imparare. Nonostante sia importante dare fiducia e lasciarli fare, hanno ancora bisogno di limiti, quelli che non hanno ancora consolidato, per evitare che vadano a sbattere, sebbene la loro sfida sia di abbatterli, quei limiti. E’ il momento in cui spesso si sentono onnipotenti, e i limiti posti li riportano alla loro età, alla realtà, o alla umana finitezza.

Diventa difficile far percepire al ragazzo/a che è amato, che viene tenuto in considerazione, che il fatto di non essere abbandonato a se stesso è un segnale d’amore (e anche una fortuna); che anche quando pare che ci si preoccupi per lui è perchè ci si sta occupando di lui, –come è naturale che faccia un genitore-, perchè ci interessa il suo benessere. E che per far questo è importante anche sapere cosa fa, chi frequenta, cosa sente.. sorvegliare. Difficile farglielo comprendere senza dare la sensazione di star limitando la sua autonomia, le sue sperimentazioni o di esercitare un controllo: tutto ciò viene comunque percepito come un limite, un’intrusione.

Per noi genitori non è facile camminare sul confine tra una cosa e l’altra, essere attenti e controllare, lasciare andare e delimitare. E anche se ci dovessimo riuscire, credo che la percezione dell’invasione che ha l’adolescente non cambierebbe, tanta è la spinta all’autonomia, il desiderio di non voler controlli, di voler essere considerato un’entità capace di decidere lui per il suo bene. E anche la tendenza ad avere un avversario da contrastare, per affrancarsi sempre un po’ di più.

Educare i figli, come più volte ho sentito dire dagli esperti, significa principalmente renderli autonomi.

A parte quando inconsapevolmente davvero accade di entrare con invadenza nella vita del figlio, credo che come genitori presenti a noi stessi, si cerchi anche, osservando i ragazzi, la conferma di aver fatto un buon lavoro con la loro educazione, un cenno di rassicurazione che non ci siano problemi o difficoltà, che in prima battuta non si vedano, o errori che non ci siamo accorti di aver commesso.
A volte ci si barcamena con la difficoltà di placare la propria ansia di per non avere più la loro vita completamente sotto controllo, e per questo talvolta non si agisce nel modo migliore per la relazione.

Forse, bisognerebbe mettersi l’anima in pace e accettare la frustrazione di essere considerati degli invasori dei loro spazi (anche quando ci sembriamo delicati o siamo davvero noncuranti perchè ci fidiamo). Di essere considerati i limiti contro cui si trovano a combattere per costruire dentro di sè i loro confini, che è comunque una buona cosa. Di essere considerati dei “rompipalle”, che però contribuiscono a formare il loro senso di responsabilità.

Forse, l’adolescente, vorrebbe invece proprio sentire di essere abbandonato a se stesso, per sperimentare la sua capacità di autonomia, la sensazione di essere privo di lacci, di controllo, con la possibilità di agire e assumersi le conseguenze dell’agito in toto.

Forse servirebbe quell’atteggiamento di noncuranza (apparente, o “cura invisibile”) da parte nostra, l’esimersi da sguardi o pareri giudicanti, per quanto difficile, o talvolta impossibile, possa essere. Essere una presenza delicata, un contenitore che accoglie senza inglobare e senza fare da specchio riflettente, che fornisce un’immagine di rimando. Evitando di fare il Grillo parlante, impulso che spesso esce in automatico.

Allora, chissà, se si sentirebbero amati e nello stesso tempo più liberi dalla nostra presenza ingombrante, con un bisogno minore di contrapporsi, di ribellarsi..

Comprendere “stando”, senza nulla fare o obiettare (se non richiesto).

Un obiettivo durissimo, un grande atto di fiducia.
Che già è difficile fare con noi stessi, figuriamoci coi nostri figli.

 

novembre 2021

 

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3 anni fa

Sospendere il giudizio e non fare il Grillo Parlante è davvero difficile già ora, figurarsi quando saranno più grandi… Però sì, sono d’accordo con te, bisognerebbe almeno provarci

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Patrizia Pazzaglia, Patty dopo un po’.

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