L’ultima opportunità (per sconfiggere la pandemia)
Io l’avevo intuito che non sarebbe andato tutto bene.
E non mi piaceva neanche leggere ovunque “Andrà tutto bene”.
Nessuno poteva saperlo come sarebbero andate le cose, nessuno poteva avere la sfera di cristallo (e se la avesse avuta non avrebbe visto qualcosa di confortante). Quelle parole erano solo un modo illusorio e consolatorio che nascondeva un certo negazionismo emotivo, su qualcosa che era fuori dal nostro controllo e dalle nostre certezze.
Pensieri ai tempi del coronavirus, parte seconda: in isolamento
E quando la disillusione della realtà prende il posto dell’illusione, si cade col culo per terra. Un margine di dubbio, di incertezza è sano, spesso ci fa agire in modo più attento e intelligente, rispetto ad una positività ad ogni costo, che nega la paura, o al confidare in soluzioni magiche. Ancòra alla realtà e impedisce, poi, di fare il botto, se qualcosa non va come ci si aspetta.
La realtà della pandemia, che porta a galla, tra le altre cose, il senso della nostra finitezza, dell’ingiustizia, la nostra impotenza, l’incertezza, e le misure di contenimento per contrastarla, quali la quarantena, il lockdown, l’isolamento, se protratte nel tempo diventano difficili da reggere emotivamente. I ricordi della socialità, dei viaggi, dei corpi che si toccano, l’inguaribile ottimismo, col trascorrere del tempo, fanno fatica a bastare.
L’incertezza prolungata di quando finirà il tempo delle restrizioni vitali, addirittura il dubbio di poter tornare alla vita di prima, in termini di libertà di movimento, trascorso un anno, ci dilania.
Quel movimento che è vita, e che, come diceva Einstein ci tiene in equilibrio:
“ la vita è come andare in bicicletta, per mantenere l’equilibrio devi muoverti”
Quel movimento che ora non ci è possibile, o all’esterno, è limitato: necessariamente dobbiamo cercare di portarlo e trovarlo al nostro interno, per non perdere l’equilibrio, per contrastare la stasi a cui siamo costretti fisicamente. Per ritrovare la vita dentro di noi, senza gli importanti stimoli che vengono dall’uscire fuori, dai contatti esterni. Movimento nella nostra mente, movimento interno, elaborazioni, che vadano in una direzione di speranza, di desiderio motivante. Ma non è detto che si riesca a prendere questa direzione, o a mantenerla, o che si abbiano gli strumenti per prenderla, le capacità, o la forza.
C’è il rischio di esplodere e portarlo fuori, questo lavorio interno; il bisogno di contatto, di condivisione e confronto rischia di far rincorrere idee e opinioni, inducendo a scatenarci in dibattiti e in conflitti, tirando schiaffi con le parole, o portando dentro troppa roba per noi nociva, difficilmente sostenibile in un momento così delicato: impossibilitati a sfogarci e a nutrirci con una bellezza a portata di vista, con una sana fisica socialità, con il calore di un incontro, di un abbraccio, di occhi che ci guardano dal vivo, ci avveleniamo o avveleniamo con giudizi, intolleranza, sarcasmo, arrivando a diventare biechi e meschini. La conflittualità alimenta l’odio reciproco, cospargendo delusione, indebolendo e togliendo la forza, conducendoci nelle tenebre; le emozioni possono fragorosamente prendere il sopravvento, e manifestarsi in modo distruttivo.
Il tempo trascorso con noi stessi, dentro il nostro cervello, la nostra casa, può diventare troppo. A volte anche quello con i nostri cari. La scoperta di tratti o opinioni di persone anche vicine, lontani anni luce dai nostri, diventano prima sorpresa, poi sempre meno tollerabili. L’indecenza delle persone che hanno delle possibilità ma che si lamentano, non riconoscendo i propri privilegi e che le esibiscono, anziché tacere, ringraziare, attivare un po’ di empatia, di “compassion”, nei confronti di chi è meno fortunato, di chi è in situazione di difficoltà, che sta incontrando malattia o morte, genera rabbia. L’impressione che il giardino del vicino sia sempre più verde, quando ci sentiamo in difficoltà, porta a deprimersi.
La naturale stanchezza, l’isolamento, la disperazione, l’esasperazione di certi momenti possono diventare accecanti, con la conseguenza di cercare colpevoli, senza comprendere che nessuno è in possesso di una bacchetta magica che risolva istantaneamente la situazione, e che tutti abbiamo delle responsabilità e delle vulnerabilità.
Giunti a questo punto l’unica possibilità che ci resta è confidare nell’intelligenza umana, nella scienza, anch’essa fatta da uomini e dalle loro capacità. Che se viene attaccata e viene discreditata, ci viene tolta anche l’ultima speranza di trovare la luce in fondo al tunnel, davanti al tutto che va alla deriva. Le conquiste ottenute con il lavoro sui vaccini, che hanno permesso la loro realizzazione in tempi mai visti prima, con una collaborazione mondiale degli esperti, non possono essere vanificate dai cattivi comportamenti, dalla sfiducia, dal diniego, dalla mancanza di responsabilità individuale. E’ già sufficiente la difficoltà di approvvigionamento e la mala organizzazione.
Accanto a tante persone che adottano comportamenti responsabili, che credono, e anche se non credono si affidano, non vedendo altre soluzioni davanti a un nemico che è solo il virus, ci sono i pochi che invece si contrappongono e ostacolano, fomentando ciò che ha il potere di compromettere i risultati e gli sforzi dei tanti. Quei pochi magari son quelli che nella vita non hanno mai imparato ad affidarsi a qualcosa o a qualcuno, coloro che hanno bisogno di vivere nella sfida, di prendersela con qualcuno, di attribuire colpe e responsabilità sempre all’esterno. Quelli che hanno anche paura, sì, come tutti, a cui è richiesto un momento di coraggio. Quelli che si aspettano che qualcuno venga a salvarli.
E’ vero, qualcuno, degli uomini soltanto, potranno salvarci. Ma non saranno in grado di farlo se non vengono sostenuti anche con comportamenti virtuosi, se non tendiamo anche noi la mano per salvarci, se non sovrapponiamo all’illusione dell’”andrà tutto bene”, la parte che spetta a noi fare, di fronte alla situazione diventata insostenibile che ognuno sta affrontando.
E davvero io credo che non ci sia più tempo. Più ci opponiamo a ciò che è difficile e sgradito, più allunghiamo i tempi. Più facciamo le cicale, fuori a cantare, noncuranti degli assembramenti, o di ciò che alimenta la diffusione di contagi, meno possibilità avremo per il futuro prossimo e non solo.
E’ vero, dobbiamo vivere nel “qui ed ora“, perchè ora non possiamo fare altrimenti, – immaginare il futuro ci è negato, – ma non è saggio, ora, vivere in modo irresponsabile, occorre la responsabilità degli adulti maturi che sanno posticipare il piacere, che sanno fare sacrifici per un obiettivo.
E tutto il rumore non fa che peggiorare la situazione. Siamo tutti sfiniti, esauriti, esausti, è innegabile, ma non ci meritiamo di darci un’ultima possibilità, anziché togliercela, per sconfiggere il virus e tornare a vivere?
Aiutiamoci e aiutiamo, con tutte le difficoltà, i dubbi, gli sforzi. Per uscirne e poter tornare a immaginare, pianificare, avere dei progetti, perché solo con la prospettiva di un futuro potremo avere la forza di andare avanti.
febbraio 2021
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Quanto hai ragione Patty, solo con la consapevolezza che siamo noi gli artefici del nostro destino, che è dal nostro senso di responsabilità che dobbiamo trarre la forza di combattere questa pandemia, senza sconti, senza scuse, senza cercare giustificazioni, ma solo con un profondo impegno. Grazie per questa riflessione.
Grazie!
Complimenti per questo post, l’ho condiviso dalla prima riga all’ultima! spero che in tanti siano intelligenti e forti come te. Un grande abbraccio!
grazie! sul forte non so..mi sento più esasperata e arrivata all’ultima spiaggia :)