Woyzeck: la disperazione di un’anima fragile
Disperazione.
Smarrimento.
Il dolore del tradimento.
La sensazione di essere chiusi in una gabbia senza possibilità di uscirne.
La sensazione di impotenza e la brama di ribellarsi.
Il non riuscire più a starci dentro, tanto da arrivare a fare un’azione inconsulta, folle, irreversibile, che distrugge tutto.
Questo quello che mi è arrivato da Woyzeck e dal suo mondo.
Una struttura di metallo, girata e rigirata, che trasmette il senso di essere rinchiusi in una gabbia, da cui pare impossibile uscirne. E anche quando si esce, la sensazione di restare comunque rinchiusi nella gabbia degli sguardi degli altri, di un mondo giudicante, influente, il contrario di accogliente. Che non lascia vie di fuga, vie di uscita. Soprattutto a chi è fragile, puro, innocente e facilmente influenzabile. Anzi, il mostrare la propria fragilità dà la possibilità, agli altri, di approfittarne, per infierire e ferire. Un mondo che induce a mettere la propria dignità sotto i piedi, in nome di bisogni pressanti, materiali ed emotivi. Dove il rispetto dei sentimenti, delle persone, che spazio occupa?
Una gabbia che viene poi introiettata, diventa la schiavitù di un personaggio che si interpreta nella vita, una prigione interiore, che aliena e da cui difficilmente si riesce ad uscire.
E allora, cosa resta da fare, per ribellarsi da queste prigioni, per sfuggire al senso di impotenza? Fare qualcosa, qualsiasi cosa. Un gesto che apparentemente sembra essere una liberazione, ma che invece imprigiona ancor di più, per le sue conseguenze, gettando l’anima ancora più profondamente nell’abisso, e nell’impossibilità di trovare una via d’uscita. Infatti, l’unica cosa che, nel delirio della rabbia e della disperazione, Woyzeck riesce a fare è uccidere la sua compagna, vittima anch’essa di un sistema e di se stessa, la madre di suo figlio. Lasciando cosi’ un orfano, condannato, come nel racconto della scena:
c’era una volta un povero bimbo che non aveva ne padre ne madre, erano tutti morti, non aveva piu’ nessuno al mondo…e se ne ando’ vagando giorno e notte…
..e dopo essere stato sulla luna e aver visto che era marcia, e sul sole e aver visto che era un fiore appassito, e sulle stelle e aver visto che erano mosche stecchite, era tornato su una terra desolante, dove non gli restava che piangere in solitudine..
Una solitudine profonda, che, quindi, è destinata a trasmettersi di padre in figlio.
Un gesto di follia ingiustificabile, ma empaticamente comprensibile..chi se la sentirebbe di condannarlo?
Ansia, sì, e peso allo stomaco, che mi hanno accompagnato durante tutto lo spettacolo, e che ho portato anche a casa. Un’interpretazione che non ti permette di mollare un attimo. Vedere rappresentata la disperazione dell’essere umano e sentirsela arrivare addosso attraverso un personaggio, è tornare in contatto con quella disperazione che, inevitabilmente, durante il corso della propria vita, molti di noi, credo, abbiano provato.
Un occasione quindi, Woyzeck, per riscoprirsi compassionevoli e accoglienti nei confronti della fragilità dei personaggi, magari non solo di quelli dello spettacolo. Compassionevoli e accoglienti nei confronti della fragilità dell’animo umano. E ancor piu’ importante, nei confronti della propria fragilità.
“…la nostra interpretazione nasce quindi dalla volontà di capire e mettere in scena come vede il mondo Woyzeck, come lo percepisce, cosa sente..”. Missione compiuta alla grande ragazzi, e, come sempre, bravissimi tutti.
dallo spettacolo:
WOYZECK – A GUARDARCI DENTRO GIRA LA TESTA di Georg Büchenr
adattamento e regia Andrea Lupo e Giovanni Dispenza con Andrea Lupo, Giovanni Dispenza, Camilla Ferrari, Michela Lo Preiato, scene Matteo Soltanto, disegno luci Pietro Sperduti, musiche originali Angelo Adamo, aiuto regia Marco De Rossi, elementi scenografici Giuseppe Pistorio, traduzione Alessia Raimondi, ricerche Giuditta Fornari
foto di Roberto Cerè
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