Opere
opere: arte, cultura, esperienze e bellezza, nutrimento dellanima
ASSISI, Bansky e Gio Evan
L’evento di un festival e concerto di Gio Evan a Rocca Maggiore, mi ha portato di nuovo ad Assisi, dove proprio in questo momento (luglio 2025) è in corso anche un’esposizione di alcune opere di Bansky.
Assisi
Assisi è un posto stupendo, magico e di pace. Mi domando come mai non ci sia stata in tutti questi anni, prima dello scorso. E ci sono arrivata neanche per Assisi in sé, ma per il concerto di Gio Evan, a Rocca Maggiore, la fortezza che domina la cittadina medievale
Città di San Francesco e Santa Chiara, Assisi è un gioiello curatissimo, tanto da rasentare la perfezione, meraviglioso in estate quando le campagne sono dorate, con le 2 chiese dei santi ai limiti opposti del borgo: è qualcosa di unico, che tocca il cuore e accende emozioni intense❤; è un gran piacere sia visitare i monumenti, che gironzolare senza meta per i suoi vicoli
Colpisce subito arrivando, una vista emozionante: la città arroccata e il complesso della Basilica di San Francesco col convento, che tolgono davvero il fiato per la bellezza
Davanti alla Basilica, la contrapposizione del grande prato verde e della facciata bianca della chiesa, di nuovo è sorprendente
L’interno appare enorme: sono infatti 2 chiese sovrapposte, quella superiore e quella inferiore, dove si trova anche la cripta con la tomba di San Francesco, che è davvero emozionante. E poi l’enorme sacro convento
La Basilica di Santa Chiara sorge su una grande piazza, un balcone sulla vallata, e colpisce per la sua pietra a righe orizzontali bianca e rosa, e per le arcate aperte laterali
L’interno a mio avviso è di grande impatto; qui si trova anche il famoso Crocifisso di San Damiano, legato al momento della conversione di San Francesco. Nelle cripta vi è sepolta la santa.
Girando per le vie medievali ovunque si scoprono angoli pittoreschi: ogni vicolo in pietra è incantevole, tutto è immacolato e ordinato.
La Piazza del Comune è dominata da un’alta torre con l’orologio, che ha a fianco un antico tempio romano, di cui conserva un collonato: è il tempio di Minerva risalente al I secolo a.c., divenuto poi la chiesa di Santa Maria sopra Minerva: quando ci sono arrivata davanti ho provato grande stupore. Di notte, poi, vista deserta e illuminata, è un magnifico spettacolo
Al centro della piazza c’è una bella fontana, e attorno palazzi comunali; non distanti si trovano anche anche la piazza Chiesa Nuova, che sorge sul luogo della casa paterna di San Francesco, ed ospita le statue in bronzo dei genitori di Francesco
E il Duomo di San Rufino, da cui parte una delle salite verso Rocca Maggiore
Rocca Maggiore, imponente fortezza medievale, che domina dall’alto, si mostra in tutto il suo splendore, e offre allo sguardo un panorama spettacolare sulla città e sui dintorni
I suoi spazi interni sono accoglienti, e salendo sulla sua terrazza si gode di una vista a perdita d’occhio, sulla pianura ai suoi piedi, e sulle sue dolci colline, verdissime, che si trovano all’interno del parco del monte Subasio
Le mura cingono ancora la cittadina.
A pochi chilometri dal centro si trova Santa Maria degli Angeli, una basilica barocca enorme, che contiene all’interno la piccola chiesetta dove San Francesco andava a pregare: la Porziuncola. Eh si, è cosi: una chiesa dentro la chiesa
In queste 2 occasioni di visita ho avuto il piacere di alloggiare nel borgo medievale, e di svegliarmi tra i tetti delle case in pietra, accanto a colombi, per nulla spaventati, che venivano a porgere il saluto, la mattina, e in una quiete immensa
Con la vista sulle campagne e fino alle colline tutte attorno, che mi facevano pensare alla bellezza che spiega attorno, e a quanto osservare dall’alto, fa vedere più lontano; e ascoltare i rintocchi delle campane, provando un senso di pace e protezione, e la sensazione di essere in un luogo sacro
Bansky
Quest’anno il caso ha voluto che Rocca Maggiore ospitasse anche la mostra di Bansky, dal titolo Peace on Earth
Bansky è l’eccentrico street artist contemporaneo, originario di Bristol, la cui identità è sempre riuscito a mantenere nascosta, e che ha usato muri in tutto il mondo per comunicare i suoi messaggi di protesta, provocazione, e denuncia, a tema politico, sociale, culturale, etico, contro guerre, ingiustizie, conformismo, consumismo, acquisendo grande fama e popolarità ovunque
E’ diventato un mito dei nostri tempi per quanto riesce ad esprimere con i suoi disegni: le sue opere stupiscono e colpiscono, andando in risonanza con le emozioni di tanti, cosa che io ho proprio sentito di fronte a molte delle sue serigrafie, una fra tutte in particolare, la celebre Girl with baloon, la ragazzina a cui, secondo alcuni, sfugge un palloncino rosso a forma di cuore, e quindi gli viene attribuito il significato di una perdita, mentre secondo altri, come me, cerca di acchiapparlo il palloncino, e rappresenta quindi una speranza verso cui tendere
Indubbiamente l’opera, apparsa per la prima volta in un muro di Londra nel 2002, come molte altre, provoca una risonanza emotiva profonda, dimostrando la potenza dell’arte come linguaggio universale
Usando la tecnica dello stencil, quindi con mascherine ritagliate a forme e lettere per comporre i graffiti, e l’uso di vernici, l’esecuzione diventa rapida, e le opere possono essere facilmente riprodotte. Molte sono state riproposte in formati più fruibili, ed esposte nei più importanti musei del mondo, raggiungendo anche prezzi inimmaginabili: è famosa quella messa all’asta, che rappresentava proprio la ragazzina col palloncino, venduta per un milione di sterlina, che, un attimo dopo la vendita, tramite un sistema progettato da Bansky stesso di distruggi documenti, ha cominciato a scivolare verso il basso, riducendosi in striscioline: un altro messaggio forte che l’artista ha voluto dare!
La mostra è arricchita da pannelli esplicativi accanto ad ogni opera, uno generale che spiega tutto il suo percorso, e da un film documentario sull’artista
Entrando per vedere la mostra nella Rocca abbiamo potuto ammirare i meravigliosi ambienti, e salire sulla terrazza dove si può godere di un panorama strepitoso!!
Gio Evan ed Evanland, per il secondo anno ad Assisi
Ormai è risaputo che sono una fan di Gio Evan.
L’ho incontrato già 2 volte per una presentazione dei suoi libri e sono stata a diversi concerti, e ne ho parlato qui
Lo scorso anno siamo venuti ad Assisi proprio per partecipare ad Evanland, il Festival del mondo interiore, ideato da lui e dal suo manager, Bruce Labbruzzo
E’ stata una grande emozione: talk, lavori di crescita personale, yoga, canti, tamburi, ecc in una cornice, Rocca Maggiore, mistica, e con una forte carica energetica
A Natale ho ricevuto in regalo una busta al cui interno c’era un biglietto.. il mio viso si è illuminato con un sorriso, il dono riguardava qualcosa a cui tenevo e che faceva risuonare la mia anima: un biglietto per l’edizione del 2025 di Evanland.
Il 26 luglio è finalmente arrivato il momento di riscuotere quel regalo, e sotto un’acqua scrosciante, ho partecipato di nuovo a questo festival. E neanche la pioggia ha potuto rovinare quel momento.. anzi, per chi sa vederle, ci sono state lezioni importanti.
Certo, all’inizio dici:
“ma perché?”
“che peccato!”
Poi, puoi però cominciare a comprendere, quelle lezioni. Da quelle che non hai potuto sentire, per la pioggia appunto, ma sono bastate poche parole, di Vito Mancuso:
“E’ una delle meraviglie che ci sono rimaste: non siamo in grado di governare la natura”
o di Don Francesco Fiorillo, e la sua esclamazione, dopo aver tentato più volte di iniziare il suo talk, e averci dovuto rinunciare.
“Va bene hai vinto tu!”
Al tuo imperterrito restare comunque, bardata, sotto acqua e grandine, che quando una cosa ti interessa resti.
Ad imparare a reggere le intemperie, cosa che non sei brava a fare.
Al proteggerti, vicina vicina all’uomo che ami, e che ti ha fatto il regalo, sotto un materassino da ginnastica, che non avrebbe dovuto avere quella funzione, col sorriso in faccia e nel cuore.
Alla possibilità di far imparare anche ai tuoi neuroni, per poterlo poi applicare ai drammi di tutti i giorni, cosa significa che
“La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a danzare sotto la pioggia”..
Col pensiero empatico a loro, a come si potevano sentire, quelli che avevano messo tutta l’energia nell’organizzare l’evento, quest’anno con la massima cura, imparando dalle mancanze dello scorso anno, quando invece un caldo massacrante ci aveva fiaccato
Perchè nonostante tutto, la pioggia si è fermata per qualche momento, per consentire di predisporre il palco e gli strumenti, e al concerto di avere luogo
E nella mia testa risuonava ripetutamente quel detto che mi è sempre piaciuto molto:
“Bel tempo brutto tempo
non dura tutto il tempo.”
Perché, forse, come il titolo del talk che non ha potuto aver luogo, di Vito Mancuso, la speranza è la nostra destinazione: è quello che ci può salvare.
Forse diversamente non sarei mai riuscita ad arrivare ad essere proprio sotto il palco.. Invece ero lì a godermi lo spettacolo in prima fila, a nutrirmi, ad ascoltare parole ed emozioni che conosco, intrisa di acqua e di gioia
Ecco, noi sabato, al concerto di Gio Evan abbiamo danzato sotto la pioggia!
E mentre la pioggia si fermava e poi ricominciava a cadere, e ci inzuppava i vestiti, cantavamo e ballavamo, ascoltando parole e canzoni che toccano l’anima, che hanno il potere di cambiare qualcosa dentro. Insieme a tante persone che invocavano la terza pace mondiale, e che, come me, sono alla ricerca, e non si arrendono..
E con tutto ciò, la bellezza aleggiava intorno: un arcobaleno tra le nuvole, l’accoglienza di un posto magico e sacro, anime umili insieme che ringraziano e sono riconoscenti, abiti che si asciugano in una notte, sole che risplende dopo la tempesta
Messaggi che ti arrivano
Vivere quello che sembra il peggio, non come disastro ma come lezione da imparare..
Riconoscendo la bellezza, con gratitudine:
a chi ha regalato, a chi ha cantato, a chi ha organizzato e lavorato, a chi era presente, a chi ha accolto, alle anime belle e generose, alle lezioni.. alla magia della vita
Grazie per averci fatto danzare in mezzo alla pioggia e riconoscere
luglio 2025
“Bagno per signore”: intime confessioni e scomode, ma sane, verità
Oggi racconto di un viaggio in cui all’inizio ti chiedono di slacciare le cinture di sicurezza..
È un viaggio nelle storie di alcune donne, personaggi di una produzione del Teatro delle Temperie, il teatro del mio paese, dei cui sempre toccanti spettacoli, ho spesso scritto: 5 scene, con 2 interpreti, ambientate nel bagno, luogo che è metafora dell’intimità, e dei segreti più reconditi che si nascondono nell’anima. Un posto dove la verità, quando è il tempo, come i bisogni fisiologici, non può fare a meno di uscire, non lasciando più spazio alle bugie e alle maschere: davanti allo specchio del bagno, o comunque all’interno di quelle quattro pareti, ci si ritrova di fronte a se stessi, e alla propria vita.
I personaggi raccontano di tradimenti: quelli delle madri, che tramandano alle figlie un ruolo tradizionale, e non accettano quando quest’ultime non si riconoscono più in quel ruolo e in quella vita, e della ferita di abbandono che causano loro. Quelli delle figlie, -necessari per liberarsi,- quando queste si accorgono che non riescono, o non vogliono più aderire a quei ruoli assunti per eredità, per educazione, o per cultura, che spesso hanno fatto loro credere di volere cose che non erano quelle che realmente volevano, con tutta la sofferenza e lo smarrimento che ne consegue. Raccontano della necessità di trovare una nuova identità, di “ripartorirsi”, e del bisogno di cominciare ad ascoltarsi, cosa che nessuno, forse, ha mai insegnato loro a fare.
Raccontano di conflitti interni vissuti, di quando “scende la catena”, e non ce n’è più per nessuno (o, come dicono, “scoppia la bolla nel cervello”), con la voglia di rompere con quello a cui non si appartiene più. Una presa di coscienza di ciò che sembrava vero,- una vita famigliare, un’idea, un’aspettativa, un sentimento,- qualcosa che riempiva la vita, che poi si rivela idealizzato, senza consistenza, o che si sgonfia, o muta, lasciando la sensazione di delusione, di essere in trappola, con l’impeto inarrestabile di voler buttare tutta la propria vita all’aria, o nel cesso appunto, perchè si intravede una possibilità di liberarsi, e si riesce finalmente ad immaginare una vita diversa.
E, anche, di quando, non volendo riconoscerli, i conflitti, si manifestano come una forza dentro che esplode in incontrollabili attacchi di panico, impossibili da gestire. Di quando, per sopravvivere, si arriva ad anestetizzare i propri sentimenti; o di quando si resta bloccati da qualcuno che fa leva sulle paure, che paralizzano, e rendono incapaci di accorgersi che non c’è nulla di vero in quello che vogliono fare credere.
Toccano anche l’assenza di solidarietà femminile, e l’emergere talvolta di una certa perfidia, che sconfina nell’esercizio di quel potere, che si sente di non avere sulla propria vita, sulla vita di un altro simile, con l’arma della paura.
E, soprattutto, raccontano del vuoto: della solitudine profonda che questo genera quando non ci si riconosce più, non si sente più un‘appartenenza, non ci si sente capiti, o quando si vede il mondo attraverso un vetro, e lo si percepisce, -e ci si percepisce,- irraggiungibili, con la sensazione che nessuno si accorga che c’è qualcuno dall’altra parte dello schermo; di quando un’aspettativa nutrita piomba nella realtà, e fa cadere tutte le illusioni, come un bozzolo che doveva contenere un sogno, a lungo custodito e curato, che rivela il niente che c’è all’interno. E anche di quando accade che il vuoto è nella pancia, fisicamente, in un utero che non si può riempire, e nella credenza comune che la vita, e la persona, perda di valore.
E poi c’è il vuoto che lascia la morte di una madre, la mancanza di qualcuno sopra di noi, che veglia, qualcuno nei cui pensieri sappiamo essere sempre presenti, che è dentro di noi, nel bene e nel male. Che dobbiamo arrivare a tradire, e talvolta lasciare andare, anche prima della sua morte fisica, lei o la sua eredità, per essere libere. E per le più “fortunate”, si può intravedere anche la possibilità del recupero di una parte saggia, che insegna ad essere resilienti, ad essere in grado di affrontare la vita al meglio, nonostante le intemperie da attraversare.
In definitiva, lo spettacolo ci mette davanti ad esseri umani che si trovano a guardare nella loro vita cio’ che esiste davvero, o non esiste più, o non è mai esistito. Esseri umani che si interrogano e che forse hanno cominciato da poco a vedersi e a darsi le loro risposte, con una buona dose di coraggio. A donne che apparentemente sembrano fuori di sè, ma questo essere fuori di sé è cosa buona, poichè è frutto dell’aver guardato finalmente dentro di sé. Persone che comprendono che, a volte, fare la cosa sbagliata, o che il mondo ritiene tale, può essere la cosa giusta, per loro stesse. Temi densi che possono far risuonare dentro ad ogni spettatore qualcosa che lo riguarda.
“Bagno per signore” è l’ennesimo spettacolo di Andrea Lupo che fa il suo dovere: da dà pensare.
Una delle mie prime riflessioni, a caldo, alla fine, è stata che viene difficile credere che il testo sia stato scritto da un uomo, per le corde che tocca, insinuandosi nei meandri dell’animo e della storia femminile. È magistralmente interpretato, e con grande coinvolgimento, da 2 attrici che si rivelano bravissime e capaci di far emozionare, Silvia Frasson e Mara Di Maio.
E’ uno spettacolo toccante, che, se si accetta di slacciare le cinture di sicurezza, come richiesto, puo’ far viaggiare in territori impervi e scottanti, ma che contengono importanti verità.
Perché, volenti o nolenti, è la verità, che rende liberi, non le illusioni.
dicembre 2024
foto: Teatro delle Temperie
https://www.teatrodelletemperie.com/events/bagno-per-signore/
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Formigli e Massini, racconti e verità sul pianeta che affonda come il Titanic: la cultura che può portare salvezza
Sono stata a vedere ieri sera, a Modena, lo spettacolo di teatro civile di Corrado Formigli e Stefano Massini:
“TITANIC, IL PIANETA AFFONDA MA L’ORCHESTRINA CONTINUA A SUONARE”
Informazione, storie, racconti, di ciò che non si sa e si dovrebbe, o di cui si ha ricordi sbiaditi; di ciò che non viene neanche commemorato, mentre sarebbe importante averne memoria; o di quello che è risaputo, ma su cui si preferisce far calare il silenzio. Quello che non si vuole vedere, per non intaccare l’avanzamento di un inarrestabile progresso, che potrebbe compromettere un mondo di apparente benessere..
Monologhi e dialoghi per far riflettere, per incentivare scelte, e magari per riuscire a far cambiare qualcosa, qualche comportamento. Una goccia nell’oceano, -si può pensare,- ma ricordiamo: sono le gocce che formano gli oceani.
Prendere coscienza, anche attraverso uno spettacolo, un’artista, un giornalista: questa è LA CULTURA. E’ ciò che “mette in luce“, tra tutto lo scontato, il dimenticato, l’ignorato, tra il fare senza pensare alle conseguenze, -ovvero l’irresponsabilta‘.
Ciò che riporta all’attenzione, e fa smuovere le coscienze.
Ciò che amplia la propria visuale, che spesso è ridotta ad un presente senza visione del futuro.
Ciò che, attraverso la conoscenza e il sentire, mette in grado di prendere posizioni.
Quando tutto è cominciato?
E’ una delle domande.
Quando l’uomo ha iniziato a mettere in primo piano il potere, rispetto alla sopravvivenza dell’ambiente, quindi di noi esseri umani. Quando hanno acquistato più valore piaceri effimeri e denaro, rispetto al valore della vita delle persone.
Quando l’uomo ha cominciato a negare, non voler vedere, quello che gli era scomodo seppur nocivo; e da Sapiens si è trasformato in Homo Potents, volto a sovrastare, col potere, le leggi di una natura, che inevitabilmente si ribella, e le leggi dell’etica. A disinteressarsi del futuro, nonostante genitore di figli, che si ritroveranno in eredità devastazioni, squilibri, irreversibilita’.
E come l’orchestrina del Titanic ha continuato a suonare mentre avveniva la tragedia, ci si ritrova a vivere in mezzo al disastro annunciato, magari guardando con ammirazione chi può permettersi un cocktail raffreddato da cubetti di ghiaccio provenienti dagli iceberg della Groenlandia.
Da Greta Thunberg a Rockfeller, dalla grande carestia cinese al più grande disastro ambientale mai avvenuto, in India nell’84, che ha causato, solo all’inizio, 5000 morti, a Bohpal, -me lo ricordo bene, ero una ragazzina-, dalla nostra vicina Ilva, ex Italsider, con i morti che ancora si contano, all’esplosione della piattaforma petrolifera nel golfo del Messico del 2010 (che, chi si ricorda più??), e i danni irreversibili con il riversarsi del petrolio nel mare e nell’aria che respiriamo …
Con la solita incisività, capacità di raccontare e collegare fatti e ragionamenti, Formigli e Massini, ieri sera a Modena, nel caldo torrido di piazza Roma, ci hanno riportato a questi drammi, spesso dimenticati, ai personaggi che hanno tentato di aprire gli occhi all’opinione pubblica, a quelli che hanno avuto delle responsabilità, e a quelli senza scrupoli, con l’obiettivo di sensibilizzare e diffondere.
Riproponendo a noi, alla nostra coscienza, la fatidica domanda
“Che cosa lasceremo ai nostri figli”?
e la riflessione riguardo a se non vale la pena chiederci di che cosa abbiamo realmente bisogno, o di che cosa possiamo fare a meno, e se non sia necessario un cambio di rotta: interrompere l’orchestrina e pensare davvero alla salvezza, per evitare il tragico naufragio, finché siamo in tempo.
Perché, come dicono i nostro eroi, è sempre una questione di scelte.
Bravissimi, Formigli e Massini, per la passione con cui hanno portato questi argomenti, per la passione per l’inchiesta, la ricerca e la condivisione della verità; per l’impegno nel trasmettere l’importanza di fare la propria parte, sempre, e comunque, al di là della propria professione e di conservare la dignità come esseri umani
17.07.2024
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maggio 2024
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Il Cristo di San Giovanni della Croce di Dalì
Quando ascolto quello mi succede davanti a un capolavoro, comprendo nella pratica che è vero che il linguaggio dell’arte è un linguaggio universale, che parla al cuore delle persone. Che tocca qualcosa che appartiene a tutti, nonostante tutto, e nonostante noi, e sopra al livello della coscienza.
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Arrivando davanti alla chiesa di San Marcello del Corso, un pannello ha catturato la mia attenzione: c’era scritto che all’interno della chiesa era esposto, per un breve periodo di tempo, un dipinto del Cristo di Dalì
Io una mostra di Dalì l’avevo vista a Matera, nel dicembre 2021, e mi era piaciuta moltissimo: in molte parti della città si potevano ammirare le sue sculture più famose, e all’interno di una chiesa rupestre era stata allestita una mostra stupenda dal titolo “La persistenza degli opposti”, dove si trovavano alcuni dei famosi orologi molli e molte altre sue opere.
Non ci ho pensato quindi 2 volte ad entrare nella chiesa, e poco oltre l’ingresso, in uno spazio raccolto, dai toni del rosso, mi è apparso, flebilmente illuminato, il grande dipinto: ho subito capito di essere davanti ad un capolavoro.
Il Cristo di San Juan de la Cruz, o Cristo di Port Lligat, è stato ispirato a Dalì dal frammento piccolissimo di un disegno di San Giovanni della Croce, una reliquia che si trova esposta proprio sotto al dipinto, che non si riesce quasi neanche a vedere, dentro al contenitore dorato che la contiene: bisogna leggere la storia per capire di cosa si tratti. Entrambi i disegni ritraggono il Cristo sospeso sulla croce visto dall’alto, un punto di vista davvero singolare
Ho ammirato il quadro da più angolazioni, e ho ascoltato quello che mi trasmetteva. La prima cosa che mi è saltata all’occhio sono stati i colori, la contrapposizione tra il cielo nero, in alto, e le tonalità dell’azzurro del cielo e del mare, in basso, che fanno pensare alle tenebre della morte, e alla luce, ai colori, della vita.
Sotto alla croce, sospesa nel buio, infatti, come un flash, appare un altro mondo, una barca appena approdata dal mare e un uomo che si accinge a mettere i piedi sulla riva, mentre altri si trovano già su quella terra.
Le sensazioni che mi hanno trasmesso le due immagini contrapposte, sono state l’angoscia, la tristezza che genera la morte di un uomo in croce, in antitesi con la gioia dell’arrivo ad un approdo, dell’uomo che, dal mare, giunge a un porto sicuro. Per i credenti, una scontata successione: il sacrificio di dare la vita, per l’inizio di nuova vita.
Ammirando da lontano non si può fare a meno di notare che il Cristo sembra solo appoggiato alla croce, senza chiodi che lo trattengano, sangue, segni di sofferenza, sul corpo; la testa è reclinata quindi non si vede il viso. Nell’insieme, la croce e il corpo formano un perfetto triangolo equilatero sospeso nel buio. Guardando da vicino, l’imbarcazione sulla riva sembra uscire fuori dal mare, e dal quadro, come fosse tridimensionale
L’emozione che mi è salita davanti a questo quadro di Dalí è stata impetuosa e irrefrenabile: mi sono commossa di fronte a tanta bellezza, e anche dopo essere uscita, ed essermi allontanata, lungo la strada ancora ero pervasa da quello che avevo sentito, e facevo fatica a trattenere le lacrime.
Come mi è successo altre volte, mi sono sorpresa e meravigliata, per la capacità degli artisti di arrivare al cuore delle persone e di riuscire a portarci, con il loro talento, a fare un viaggio oltre il tempo, lo spazio, le differenze, in quelle emozioni, in quel sentire che appartengono universalmente a ciascuno di noi.
giugno 2024
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Hirayama, insegnami la gioia dei Perfect days
Già dal trailer, l’ultimo film di Wim Wenders, ha risuonato nella mia anima, ed ho avvertito un desiderio irrefrenabile di vederlo. E non ha tradito le mie aspettative: mi è piaciuto moltissimo!!
Un uomo, a Tokyo, in Giappone, vive le sue giornate tutte uguali.
Fa un lavoro umile, pulisce i bagni pubblici della sua città, con grande dignità ed estrema accuratezza, come se fosse il lavoro più importante del mondo.
Ogni mattina, quando esce di casa, dopo tutti i suoi rituali quotidiani, guarda il cielo sorridendo. Poi va a prendersi un caffè in lattina ad un distributore automatico e se lo beve sul suo furgone.
Si lascia contagiare dalla musica che ama, e dal suono antico delle musicassette, che ascolta mentre va al lavoro; dalle persone strane, e un po’ al limite che incontra, che guarda con rispetto, interesse e curiosità, e anche con grande benevolenza; dalle chiome degli alberi che si stagliano nel cielo blu, che osserva ogni giorno durante la pausa pranzo, nel giardino dove si reca a mangiare il suo sandwich.. .. e in questo mi ha ricordato i momenti in cui anch’io, sdraiata sulla mia amaca in giardino, resto ore a guardare i rami e le foglie delle querce nel cielo!
Hirayama, il protagonista di Perfect days, è un uomo di poche parole, ma la sua presenza parla per lui. Si esprime prevalentemente a cenni e gesti, e parla solo quando non ne può fare a meno, dicendo l’indispensabile. L’essenziale è la sua caratteristica.
Vive con l’essenziale, fa una vita umile e semplice, e – si intuisce – non è sempre stato così, è frutto di una scelta o di una necessità.
Mette tutto se stesso in quello che fa, ed è un uomo gentile, ha grande empatia con il mondo attorno, che guarda e ascolta con interesse.
Vive di abitudini, riti e ritmi: tutto è sempre uguale nelle sue giornate, ma non si percepisce alcuna monotonia o pesantezza, solo ritualità, ordine, e assenza di aspettative.
Vive nel suo mondo, solitario, senza legami, senza tecnologia, principalmente osservando, e sfiorando soltanto la vita degli altri.
Vive nel presente, perché come dice
“adesso è adesso, un’altra volta è un’altra volta”.
Elementare Watson, viene da pensare, ma, poi, cosi elementare non è.
Inforca la sua bicicletta quando si deve muovere nella sua caotica città, al di fuori degli orari di lavoro
Vive in un alloggio semplice, senza doccia, e con poche comodità; va a fare la doccia nei bagni pubblici e lava i suoi abiti di lavoro nelle lavanderie; riserva grande cura, ogni mattina, al riordino della sua stanza, ed annaffia con dedizione le sue piantine; si prende cura di se stesso e del posto nel mondo che si è ricavato; mangia nei soliti posti, dove lo conoscono, e gli portano il solito piatto, senza che debba nemmeno chiedere; la sera legge libri selezionati usati, che compra in un piccolo negozio, alla luce di una lampada, nella sua camera da letto; ascolta le canzoni anni settanta, di Lou Reed, Patty Smith, dei Rolling Stone, di Nina Simone, e così via, ogni giorno andando al lavoro….
Di questo è fatta la sua vita, la sua routine.
Che si svolge con estrema leggerezza, senza il tormento e la noia della ripetizione dei giorni tutti uguali, e senza prospettive immaginate o desiderate.
Anzi, quando si sveglia, ogni mattina, e segue la stessa sequenza di gesti, e poi esce e guarda il cielo, facendo il primo respiro fuori casa, si percepisce il piacere di un nuovo giorno da vivere.
“It’s a new life, for me, yeah. It’s a new dawn. It’s a new day. It’s a new life, for me. And I am feeling good” (Nina Simone)
E’una nuova alba
E’un nuovo giorno
E’una nuova vita
Per me
E’una nuova alba
E’un nuovo giorno
E’una nuova vita per me
E io sto bene
Un nuovo giorno che non ci si aspetterebbe che fosse così apprezzato, visto che è identico a tutti gli altri.
Che ci si aspetterebbe non riservasse incognite, ma che, inevitabilmente, talvolta arrivano. Senza fare nulla.
Oh freedom is mine
That’s what I mean
And this old world is a new world
And a bold world for me
In contrapposizione a questi giorni immutabili, senza prospettive, Hirayama stupisce, a un certo punto, dicendo che
“se non cambiasse qualcosa nella vita tutto sarebbe assurdo.”
Perché lui sa che può fidarsi del domani, dell’ignoto. Del nuovo giorno.
Forse ha imparato dalle sue esperienze; forse ha maturato una saggezza; sicuramente ha fatto delle scelte. E ha imparato ad avere fede e ad accogliere. E che null’altro era possibile fare.
Ha fatto pace con se stesso, e probabilmente con l’ombra di un passato doloroso (che per un attimo si riaffaccia nel suo presente). Ora le ombre le osserva guardando le chiome degli alberi, e la bellezza del gioco di luci ed ombre che fanno nel cielo, e cerca di catturare quell’attimo di luce sfavillante che penetra, con la sua macchina fotografica analogica, ancora col rullino. Il cosiddetto “komorebi”, parola giapponese che definisce questo concetto: il momento in cui la luce filtra tra le foglie degli alberi. Un momento magico, poetico e di rara bellezza, che entusiasma e ricarica. Una danza, un rimando all’impermanenza di tutte le cose, alla verità che non esiste luce senza ombra. Alla ricerca dello spiraglio di luce nell’oscurità. Che non occorre esser chissà dove, per trovarlo: basta il cielo, un albero con le foglie, e un po’ sole che si insinui.
Bisogna attendere oltre i titoli di coda per trovare questo accenno, come se il regista volesse lanciare un ulteriore messaggio che chi resiste fino alla fine e non se ne va prima, avrà il privilegio di comprendere.
Hirayama sembra aver trovato un equilibrio nella sua vita.
Non ci è dato di sapere quanto abbia impiegato, e quanto gli sia costato: possiamo solo immaginarlo da un’emozione che lo travolge, in un momento in cui rincontra il suo passato.
Non ci è dato sapere se sia felice: e qui mi torna alla mente un discorso ascoltato ad una conferenza di Vito Mancuso:
La felicità è un’emozione in balia della realtà, va e viene, è un sentimento dell’ideale.
La gioia è una disposizione che viene dal lavoro interiore, e permane, non dipende dal sapere, dal riconoscimento, ma dal reale, dall’onestà intellettuale, dal voler mettere ordine in idee e sentimenti.
La felicità esalta, mentre la gioia porta tranquillità.
Lui vive con questa tranquillità: è riuscito a trovare nelle piccole cose la gioia, quindi a dare un senso a quel che fa, e alle sue giornate; a mantenere, -nonostante la vita,- l’amore per la vita.
E tutto ciò lo trasmette con il suo sorriso, che emoziona. Con i suoi occhi, che fanno capire che la vita vale la pena di essere vissuta. Anche senza troppo clamore, ma sempre con presenza e attenzione.
E chissà che la vita stessa non gli riservi delle belle sorprese!
Perfect days è un film che può non piacere a tutti: ha pochi dialoghi, non ha colpi di scena, può risultare noioso. Ma ci sono i rumori, le ombre, le espressioni, le musiche meravigliose, le immagini di Tokyo, e dei bagni pubblici, che sembrano talvolta opere d’arte. E soprattutto c’è la vita e tutto il mondo interiore di Hirayama, che ha molto da insegnare.
Soprattutto in un’epoca in cui ci si riempie di cose, persone, aspettative, prospettive; in cui si vive voracemente, egocentricamente, di corsa, accecati dai desideri e dalla mira del successo. Insoddisfatti, distratti, senza pace e spesso senza gioia.
Insegna l’importanza di nutrirsi di bellezza, e di cercare quella bellezza anche impercettibile, fonte di gioia, nelle piccole cose.
E che
Il mondo è fatto di tanti mondi. Alcuni di questi sono connessi tra loro, altri no.
Il film ci mostra un mondo, che può essere un’alternativa. Un mondo discreto e attento, così lontano da quello della visibilità e del clamore in cui siamo abituati a vivere, spesso con frustrazione.
Questo, quello che mi ha trasmesso Perfect days. Io l’ho amato, questo film; ho amato il personaggio di Hirayama (e la straordinaria interpretazione di Koji Yakusho), ho amato i suoi perfect days, e il suo meraviglioso sorriso, il suo essere contento di iniziare ogni nuovo giorno. E se potessi gli lancerei un messaggio:
Insegna anche a me, caro Hirayama, ti prego, come trarre gioia ogni giorno, affinché anche le mie giornate diventino dei “perfect days”
Gennaio 2024
Qualche recensione interessante:
https://www.vanityfair.it/article/perfect-days-film-wim-wenders-recensione
https://www.doppiozero.com/ombre-e-gabinetti-perfect-days-di-wim-wenders
https://www.4pareteita.it/2024/01/14/guida-visione-perfect-days-canzoni-libri-wim-wenders/
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Questo mondo non mi renderà cattivo .. io lo spero!!!
📌Ho visto tutto d’un fiato i 6 episodi della nuova produzione di animazione di Zerocalcare, su Netflix, e mi è piaciuta moltissimo: è toccante, emozionante, stimolante, e di parte... per me la parte giusta 🔝
Michele Rech, in arte Zerocalcare, nella serie “Questo mondo non mi renderà cattivo“, si dimostra, a mio avviso, la persona più empatica di sempre; esprime il solito spessore e la capacità di guardare anche le parti e le persone più scomode, per capire cosa ci sia dietro; evidenzia la capacità di mettersi in discussione dialogando con la sua coscienza, e la capacità di vedere oltre se stesso, (e agli istinti narcisistici che appartengono più o meno a tutti noi): quella che consente di vedere altro, e l’altro.
I contenuti e il messaggio sono di ispirazione, affinché delusioni, disillusioni, paure, compromessi, esperienze dolorose, sogni infranti, e tutto ciò che ne consegue, non riescano a sopraffare la nostra essenza, i valori che ci portiamo dentro, la purezza, l’umanità, e il proposito di impegnarci così che il mondo, e quello che vediamo, e talvolta dobbiamo subire, non ci renda cattivi. Che non è cosa così facile, non scivolare nella cattiveria rabbiosa o nell’indifferenza!
Sono un’esortazione a non mollare, a resistere, a ricredersi, a rimanere se stessi, a combattere per i propri ideali, nonostante le difficoltà che si devono affrontare, la propria storia personale, il bisogno che tutti abbiamo di essere visti e ascoltati.
Nonostante la tentazione di fare scelte di opportunità.
Nonostante la trasformazione del mondo e della società in un modo non sempre giusto ed etico, e la modalità, oggi sempre più in auge, di ridurre a cose di poco conto, semplificare e trattare con superficialità, argomenti e problematiche complesse, che necessitano invece di visioni più ampie ed umane ed un atteggiamento di accoglienza.
Sono un invito a mettersi nei panni degli altri, anche di quelli a cui attribuiamo il torto, -a quelli diventati “cattivi”-, considerando le loro ragioni, il disagio, le responsabilità.
Una cosa che mi ha colpito, e che comprendo, è quella sorta di senso di tradimento che investe chi ce l’ha fatta; un senso di colpa, come se si abbandonasse qualcuno, perchè si è riusciti ad affrancarsi, o perchè si riesce a stare bene in qualche momento, ad essere felici. Anche se pensiamo che ce lo siamo meritato, che tutto è frutto di un duro lavoro, è davvero difficile lasciare indietro chi ha fatto scelte diverse, chi trova sempre motivi per essere infelice, chi non ce l’ha fatta e probabilmente non ce la farà. E che se tentiamo di aiutare, rischiamo che ci porti nel burrone insieme a lui. Chi da sempre la colpa agli altri ed è votato al sacrificio, ma con cui conserviamo un legame, e la cui modalità, con cui siamo cresciuti, abbiamo, con fatica, abbandonato. Per farcela, noi.
Le mie riflessioni, dopo aver visto il lavoro del fumettista romano, sono state che..
io lo spero, di non diventare cattiva!
Spero che le mie intenzioni non vengano annientate.
Di riuscire a proteggermi dalle cose distruttive, malate, malsane, disfunzionali, che incontro; dalla tentazione di arrendermi, gettare la spugna, perchè tutto è troppo faticoso e perchè ogni sforzo spesso pare vano, e senza risultati.
Di riuscire a mantenere occhi e orecchie attenti e vigili, e presenza, fuggendo solo quando mi pare necessario per la mia sopravvivenza; di trovare la forza di sopravvivere anche in mezzo alle macerie, e poi… trovare sempre una motivazione per vivere! Nonostante le sfide della vita che mettono davvero a dura prova!
So che ci saranno (come ci sono stati) momenti in cui mi proporrò di “essere cattiva”, che la vedrò come una soluzione; come sono certa che ci saranno momenti in cui riuscirò ad esserlo davvero; e molti altri in cui le altre persone penseranno che io lo sia. . ma forse, almeno nei primi due casi, come finora è stato, non durerà a lungo, perchè mi devo sforzare: lo faccio solo per reazione e per difesa, e questa forse sarà la mia salvezza.
Come dopo aver visto la serie precedente “Strappare lungo i bordi”, tante cose mi si sono mosse nelle budella, dove alberga quell'”ovosodo” (cit. film Virzì), che anch’io forse mi devo rassegnare a tenermi, e che non va nè sù nè giù.. Ma mi hanno lasciato una bella sensazione, difficile da esprimere: come se qualcosa avesse preso definizione, avesse trovato voce. E, nella condivisione degli intenti e delle sensazioni, avesse mosso anche una sorta di fiducia contagiosa.
E subito mi è presa una gran voglia… di “anna’ a pija un gelato“‘ 😁
“Tranquilli e sereni praticamente non ce stamo mai, perché intorno hai le macerie.. e chi cazzo di sciacallo sta bene nelle macerie?“
trama e recensioni interessanti:
https://www.gamesurf.it/recensioni/serie-tv/questo-mondo-non-mi-rendera-cattivo-recensione
giugno 2023
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Il Labirinto della Masone (PR): perdersi tra le canne di bambù
A volte è bello girare senza mappa, senza riferimenti, andare davvero dove mi porta il cuore, l’intuito, qualcosa che mi piace o mi attira.
Sapendo che mi smarrirò, ma senza che mi importi perdere tempo.
Perdermi, vagare, ripassare dove sono già stata. Lasciarmi disorientare, senza preoccuparmi. Ripercorrere le stesse strade, senza per ciò innervosirmi, ma esserne divertita.
Sapendo che prima o poi, la strada giusta per l’uscita la troverò.
Una bella metafora da vivere, un allenamento all’ottimismo, e, magari, un modo per imparare qualcosa, al Labirinto della Masone, in località Fontanellato di Parma
Il Labirinto della Masone è il labirinto più grande del mondo e la sua particolarità è di essere composto interamente di piante di bambù.
Cosi ci si trova ad inoltrarsi per un percorso insolito, stretto, e a volte poco luminoso, prevalemente composto di alti fusti di diverse specie di bambù, che a volte si piegano formando come una capanna sopra di te.
Una galleria vegetale, sotto cui è bello camminare e ossigenarsi, vedendo in fondo una via d’uscita, ma non la fine della strada
E il mio pensiero va ai panda, quei bellissimi animali, e a quanto potrebbero essere felici lì, loro che si nutrono quasi esclusivamente di queste canne
Le canne di bambù sono verdi, gialle, strette, larghe, alcune piegate in modo strano
e osservarle è una bellezza
La strada da trovare è quella verso il centro (come nella vita si cerca la strada per arrivare al centro di se stessi), dove in una piazza quadrata di duemila metri quadri, si trova una piramide
Al suo interno c’è una piccola cappella, che da proprio la sensazione di essere giunti al centro, al cuore di questo luogo, come ad un tesoro
Il labirinto nasce dal sogno di un uomo, Franco Maria Ricci, da sempre affascinato dai labirinti, e dalla bellezza, che ha sempre cercato durante tutta la sua vita.
La bellezza è inevitabile
Questo il suo motto. Che mi ha colpito, presupponendo il fatto che non sia possibile non incontrarla, poichè il mondo ne è cosparso, di bellezza: spetta a noi la scelta, se farcene contagiare oppure no.
Francesco Maria Ricci
Finiti gli studi come geologo, Francesco Maria Ricci lavora nel settore dell’estrazione del petrolio, ma scopre poco dopo che non è quello che avrebbe voluto fare. Diventa allora grafico ed editore, dando anche lustro a un carattere di scrittura nuovo, il Bodoni, che usa poi in tutte le sue pregiate pubblicazioni. Diviene grande viaggiatore, e da vita a FMR, una rivista d’arte che diventa la più diffusa nel mondo. Mette insieme una pregiata collezione d’arte, 500 opere del periodo dal 500 al 900, che si può apprezzare nel Museo del Labirinto, con pezzi davvero belli e interessanti, sculture, busti dipinti, disegni, ecc,
Il suo obiettivo è di cercare il bello anche nelle opere minori, quelle non conosciute, scartate, che con quest’occhio vanno guardate. Alcune sono davvero bellissime
Tra queste non mancano opere importanti, come un autoritratto di Ligabue, e 2 quadri stupendi raffiguranti teste di tigri, dello stesso pittore.
Le sue pubblicazioni sono raccolte in una bella biblioteca, e i libri dell’editore sono consultabili: salta all’occhio l’esortazione, contraria a quelle della maggior parte dei musei, a consultarli
Imperdibile l’interessante documentario sulla vita di Franco Maria Ricci, per conoscerlo ed apprezzarlo, riprodotto in una sala occupata dalla sua bella biblioteca personale
Deciso a realizzare il suo sogno di costruire un labirinto in terra natale, in mezzo ai campi della sua infanzia, con l’intento di farne anche un luogo di cultura e di esposizione della sua collezione d’arte, scopre che il bambù trova un terreno favorevole in quella terra bagnata dal Po, e che è una pianta molto adatta per il suo scopo, visto che cresce velocemente e non perde le foglie. Fa arrivare quindi dalla Cina 50000 piante, che ora sono diventate 300000, disposte in circa 7 ettari di terreno (alcune hanno raggiunto anche i 15 metri di altezza). E’ così che nel 2015 realizza il suo sogno, inaugurando il Labirinto della Masone.
Il labirinto ha la forma di una stella a 8 punte, come una cittadella medievale; come un borgo medievale protetto dalle mura, questo è protetto dalla vegetazione, e ha una piazza nel suo centro: diventa un vero e proprio “un borgo della cultura”
Ho trovato il Labirinto della Masone un luogo incantevole da visitare. Sia per la bellezza da vedere, che per le sensazioni da sperimentare, tra cui la possibilità di entrare nell’ignoto, ma in sicurezza, in un luogo misterioso, ma senza timore alcuno
Dove ci si può lasciare andare, perchè forse ha proprio ragione colui che ha scritto sulla porta della toilette delle signore:
Prima di entrare nel museo, o al labirinto -anche qua si presenta subito una scelta su dove andare per primo- è esposta una meravigliosa Jaguar nera, che fu di Franco Maria Ricci, che ha catturato subito l’attenzione del marito
All’ingresso, c’è una torretta, dove si può salire e vedere il panorama dall’alto, ma per la vista della stella non è ancora un’altezza sufficiente
Il labirinto prende il nome dalla via dove si trova, nella campagna parmense; al suo interno ha anche un bel ristorante e un bistrot, con prodotti del territorio, e a prezzi accettabili. Sono presenti inoltre 2 suite per chi volesse fermarsi in un luogo insolito a dormire.
Quando si ha la possibilità di camminare nel sogno di un uomo, si può comprendere quanto grande sia la potenza dei sogni, e dove questi possano portare. Anche a lasciare impronte, piccole o grandi che siano, che sopravvivono oltre la morte.
Che danno un senso alla vita, ed arricchisono quella degli altri.
Non esiste un sogno perpetuo.
Ogni sogno cede il posto a un sogno nuovo, e non bisogna trattenere alcuno.Hermann Hesse – Demian
maggio 2023
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Andando verso il sole … dell’Avvenire.
Sono andata a vedere l’ultimo film di Nanni Moretti incuriosita dal commento di un’amica, che mi ha detto che le era piaciuto moltissimo, mentre al marito per niente.
Il sol dell’Avvenire, è un film d’amore, un film di politica, un film sulle proprie rigidità e convinzioni, un film sul cambiamento, e anche un film sovversivo, come cita una scena.
Giovanni, il protagonista, è un regista che vive fedele ai suoi principi e alle sue convinzioni in modo assoluto. Se questo da una parte lo rende libero da alcune derive e pieghe che hanno preso le cose al giorno d’oggi, conferendogli integrità, dall’altro lo imprigiona. La rigidità che ne consegue, fino a sfiorare l’ossessione, gli determina un distacco dalla realtà e dagli altri: vive in un mondo suo, dove non vede altro e l’altro, e lo conduce in un precipizio di disillusione e solitudine, che può avere come epilogo soltanto la morte.
Persegue ideali di libertà, si oppone alle cose del mondo esterno che non gli piacciono, ma è incapace di opporsi a se stesso, alle sue roccaforti, che lo rinchiudono nella sua gabbia .. e neanche se ne accorge! Prende da anni antidepressivi per contrastare il suo disagio.
Una serie di batoste che non si aspetta, dalla moglie, dalla figlia, dalla politica, dal lavoro, sui vari piani in cui si svolge il film, distruggono le sue sicurezze. Ma sono quelle stesse batoste che lo salvano: e finalmente si arrende, non nel senso di rassegnazione, che era quella precedente, ma nel senso di resa.
Proprio chi decide di cambiare, e di vivere, chi fa le sue scelte, anche non convenzionali ma secondo quello che sente, chi decide di lottare, perché solo in questo vede una possibilità e una speranza, gli dà una scossa e gli permette di uscire da quell’ingessatura, che lo ha costretto a vivere nel suo mondo, nella depressione e nell’infelicità.
Un film per me davvero denso e toccante, che mi e piaciuto molto, come mi piacciono quelle cose che toccano le mie emozioni, senza che me ne renda conto e senza che ne capisca subito il perchè: la comprensione arriva dopo il sentire, con tutte le riflessioni e gli spunti che ne derivano.
Mi sono commossa davanti alla possibilità che quest’uomo riesce a darsi (o forse non ne può fare a meno) per tornare a vivere, quasi inconsapevolmente, abbandonandosi finalmente agli eventi. Alla fine, questi, non sono portatori del disastro, ma tutt’altro: i fallimenti e quello che doveva essere la fine di tutto, si dimostrano un nuovo inizio.
Spesso è necessario che ci uccidano per rinascere. E’ necessario essere abbandonati da ciò che ci serve, lasciarci morire, affinchè avvenga una svolta. E’necessario abbandonare le nostre inutili fissazioni e abitudini, le cose e i presupposti poco importanti, che ci danno certezze.
Perché uscire dalle proprie gabbie significa ritrovare la libertà.
Il film mi ha fatto pensare alla straordinaria capacità che abbiamo, noi esseri umani, di attingere, talvolta, a qualcosa di non conosciuto, forse la famosa resilienza, che porta a modificarci e a darci nuove possibilità.
Anche la prima parte in cui Moretti recita in modo perentorio e pedante, che genera quasi un fastidio, e il senso di pesantezza che suscita, è funzionale per trasmettere l’ingessatura del suo essere; come i riti a cui si costringe, e costringe gli altri, per il timore di ciò che deve venire, per scongiurare che le cose vadano male; il suo subire quel vivere con paura, e la necessità quindi di tenere tutto sotto controllo, e che tutto debba essere esattamente come lui vuole.
Niente deve sfuggire, ma tutto poi sfugge. Perché cosi è la vita. Imprevedibile. Cambia.
E se noi non cambiamo con lei, ma continuiamo ad arroccarci sulle nostre seppur giuste convinzioni, siamo destinati all’infelicità e alla solitudine.
L’abilità sta nel restare fedeli a sè stessi e alle proprie convinzioni, senza che ciò ci ingabbi. Nel lasciare andare un passato, un modo di essere che non va più bene, che, appunto, è passato.
Nel danzare con la vita e con le persone che ci circondano, non lasciando che siano solo le parole, le idee a condurci.
Nel conquistare un po’ di quella leggerezza che a volte è necessaria per vivere.
Quella spericolatezza che è tipica dei trapezisti, che si lanciano verso il trapezio, forti di un buon allenamento alle spalle, e quell’eccitazione che coglie noi che li stiamo a guardare.
Il finale, è una specie di marcia su Roma, ed è una marcia verso la libertà. Non più soli, ma con la forza dell’essere insieme agli altri, comunità verso una direzione comune, verso una rinascita, un futuro, l’ignoto.
Di questo parla il Sol dell’Avvenire.
Di speranza.
Che la storia può anche cambiare con i “se”: non la storia che è stata, ma la storia che sarà.
E già nel titolo, si cela la speranza: perché nell’Avvenire c’è il sole.
Finalmente.
maggio 2023
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Incontrando Gio Evan
Gio Evan non so come l’ho conosciuto, forse vedendo passare un post su facebook.
È un giocoliere, con le parole, e riesce a dare, delle cose, un punto di vista molto particolare, esprimendo concetti profondi con poesia e tangibilità. E trovando sempre il lato positivo, costruttivo, istruttivo.
Poi sono andata ad ascoltarmi le sue canzoni.
I suoi testi mi parlavano, esprimevano cose a me conosciute, sentivo una sensibilità affine. Sentivo come se alcune mie emozioni e sensazioni prendessero voce, e come se, dentro di me, si accendessero lampadine.
Mi ha colpito la sua fine attenzione, -delicatezza ed impetuosità-, la sua coscienza. Mi ha toccato a fondo il suo modo di parlare d’amore
Se c’è un posto bello, sei te
Ti ci devo portare
Se c’è un posto bello, sei te
Mi ci devi portare
(Klimt- Gio Evan)
Continuano a colpirmi, e anche a commuovermi all’ascolto, queste frasi:
“dormi da me cosi restiamo svegli”
“tu sei un rischio ma io amo correre”
“non voglio amarti per caso, come se non avessi ferite”
Poi è arrivata “Arnica” al festival di San Remo, ed è stato amore al primo ascolto
“E sbaglio ancora a vivere e non imparo la lezione
Prendere in tempo il treno e poi sbagliare le persone
E sbaglio ancora a fidarmi, a regalare il cuore agli altri”…
Ho riconosciuto la mia eterna difficoltà ad imparare dagli errori e l’estenuante ripetizione degli stessi. Alte aspettative, immancabili illusioni, grandi delusioni.
“E voglio farmi scivolare il mondo addosso, E non scivolare sempre io”
Ho riconosciuto la mia eccessiva permeablità, la difficoltà a distinguere i confini e a mantenerli, il farmi toccare, troppo, da tutto.
“Mica so vivere io…Mi faccio male in un niente. Ma che palle еssere esilе”
(Glenn Miller)
E nonostante questo, e le ferite che genera, il non darsi mai per vinti..per fortuna! e provarci sempre, ancora, perchè è ciò che mantiene vivi.
“Per poi dire cosa quanto ha fatto male
Eppure non riesco a rinunciare
Per poi dire cosa quanto ha fatto male
Eppure lo voglio rifare”
(Arnica)
In occasione della presentazione del suo ultimo libro, “Vivere a squarciagola“, a Bologna, sono andata ad incontrarlo.
Già il titolo mi è arrivato dentro come una freccia su un bersaglio: chi non vorrebbe vivere a squarciagola, con tutta la passione, con tutta la forza e la profondità, “succhiare la vita fino al midollo”, per arrivare, per sentire e farsi sentire, per esprimere al massimo la propria potenza?
Ed è stato davvero un piacere ascoltarlo, una conferma di quello che avevo percepito dalle parole dei suoi scritti e delle sue canzoni: ogni concetto apre, fa chiarezza, mi sorprende, e mi stimola alla riflessione. Una grande intelligenza che spazia, un’energia istrionica e irruenta, un pò pazzoide; una coscienza fuori dal comune, che credo possa uscire soltanto da un lavoro profondo, e da chi dalle ferite è riuscito a trarre risorse.
Scappiamo (usciamo dalla cappa, dalla folla), partiamo (dividiamo, selezioniamo, le relazioni tossiche, i pensieri, i cibi, tutto quello che non ci fa bene) e poi corriamo (iniziamo a muoverci). Per salvarci. In un mondo in cui siamo schiavi del voler dimostrare,- e questo ci viene richiesto-, tiriamo fuori questo mostro (de mostrare) e facciamocelo amico, per diventare migliori. (cit.)
Ho vissuto tanti anni (o non ho vissuto) anch’io, con la paura di disturbare e mi è piaciuto il concetto che bisogna avere il coraggio di disturbare, per capire che non esiste il disturbo tra persone gentili (cit). Che sono le uniche di cui ci dovrebbe importare.
Che belle quelle personeche hanno occhio,che chiedi loro una fotoe hanno il senso della fotografia,hanno il senso dello spazioti fanno abbinare con la geometria del luogoe sfruttano tutte le luci del soleper dare al volto la luce che meritiquelle persone che hanno occhiocosì in gambache quando hai bisogno di una manosi alzano in piedisenza che tu chieda aiuto,quelle persone che hanno lo sguardo allenatoa vedere le cose che non si vedonoche hanno fatto loro l’alfabeto del silenzio,che belle quelle personeche hanno occhioche ti riempiono di punti di vistaquando chiedi loro un parereche ti guardano senza distrarsie per ascoltarti non usano solo le orecchieusano anche le maniusano la pelleti ascoltano con le guance,tutto il loro corpo a servizio della voceche hai bisogno di uscireche belle quelle personeche si vestonosenza troppo impegnoperché hanno imparatoche il cuore sta bene con tutto.[Gio Evan]
E voglio credere davvero che
“quando ti affidi alla vita, la vita si prende cura di te”
Ora non vedo l’ora di leggermi il libro, e di ricordare anche il mio viaggio in India, di tanti, tanti anni fa, dove le cose che mi accadevano sentivo che erano importanti ma non capivo: il senso non arrivava ancora alla coscienza e tutto si doveva ancora compiere.
E io… cercherò di continuare a viaggiarmi dentro come ho sempre fatto, e spero di farcela, a portami sempre con me..scegliendo la strada più lunga, che nasconde i paesaggi migliori!
“E ora voglio ballare per casa
Credere che il mondo mi guardi
E sentirmi libero
E ora voglio ballare per strada
Credere che nessuno mi guardi
E sentirmi libero”
(Glenn Miller – Gio Evan)
25 maggio 2022
EDIT LUGLIO 2024
EVANLAND – ASSISI 29 LUGLIO 2024 III edizione
Esaudendo un grande desiderio, dopo aver visto il concerto di Gio Evan a Bologna “Fragile e inossidabile”, sono riuscita ad andare alla terza edizione di Evanland, che quest’anno si è tenuta ad Assisi
dettagli e foto ai seguenti post
Evanland, Assisi 29 luglio 2024
Evanland, alcuni video del concerto di Gio Evan
riflessioni:
È stato bellissimo andare ad Assisi per la prima volta, andare ad Evanland. E ringrazio chi mi ci ha accompagnato❤
EDIT 16 APRILE 2025
Dopo il primo incontro del maggio 2022, sempre in libreria, un concerto a teatro, l’esperienza di Evanland ad Assisi, poesie e libri letti, interviste ascoltate, eccomi qui a prendermi questo abbraccio.
Un abbraccio nutriente. Un abbraccio di “cuore”.
Che consolida quelle parole di positività, speranza, fiducia, compassione (nel senso di patire-con), visione di un mondo più grande e che riconosco, che ritrovo e che mi ricaricano
Che mi vado a cercare quando sento di averne bisogno, nei momenti bui o difficili, o in cui arranco di fronte a ciò che mi arriva del mondo, e mi sotterra, o sono imbrigliata dalle dinamiche tossiche consolidate che tentano di fagocitarmi, e da cui fatico a difendermi.
E anche quando sento di allontanarmi dalle cose più pure, essenziali, vere, incastrata nelle sovrastrutture, da ciò che è falso ma che ci hanno abituato, o ci siamo abituati, a credere che sia vero.
Momenti in cui mi è necessaria la forza, la motivazione, la spinta, per riprendere la direzione; in cui è importante ampliare la prospettiva, uscire da me, contaminare l’inquinamento interiore. E questo diventa possibile grazie alle parole e a nuove consapevolezze di cui mi nutro, attraverso le mie persone di riferimento, medicina che entra per combattere il malato, il marcio, il falso.
“Persone che hanno imparato a frequentare così bene il sole che sanno addirittura accompagnarti fino al tuo tramonto. Persone che fanno di te stesso un miglior te stesso”
cit. dal libro ‘Le chiamava persone medicina’ appunto
Ma torniamo a ieri. Alla presentazione del libro a Bologna.
Generoso, Gio Evan, tanti abbracci, tante dediche, alle tante “teste di cuore” presenti; parole, quelle possibili in poco tempo, -le altre sui social, nei libri nelle canzoni, nei concerti,- ma tanti spunti illuminanti; il quarto chakra che si apre per accogliere, perche percepisce il balsamo che arriva, l’energia che si mette in moto, che si sente come qualcosa che ti gira intorno a grande velocità, e ti tiene lì, presente, e… tutto come acqua pura e fresca di sorgente a cui attingere quando si è assetati.
Allora a presto.. alla lettura del nuovo libro, agli appuntamenti già in agenda, a quelli virtuali sui social.. mica mi posso perdere ciò che mi fa bene all’anima!!
EDIT luglio 2025
Evanland 26-27 luglio 2025
il racconto qui:
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