La gioia che ci spetta
Ci sono dei momenti in cui abbiamo proprio voglia di piangerci addosso.
È una cosa inconsapevole, ma è come voler entrare in uno spazio conosciuto, che, anche se ci fa star male, ci conforta.
Sappiamo come muoverci, quali saranno le reazioni del nostro pubblico, perché abbiamo messo in scena la stituazione tante volte.
Entriamo in un personaggio di cui conosciamo le battute, recitiamo una parte che abbiamo provato tante volte, che conosciamo a memoria, e che si ripete, e che ci riporta sempre nel solito conosciuto copione.
Eppure, sentiamo come di averne bisogno.
La sua ripetizione ci da una certa sicurezza.
Non importa se riviviamo una sofferenza.
Anzi.. il crogiolarsi nel nostro dolore forse ci dà la sensazione di essere vivi.
Siamo incapaci, o forse ignavi, di tentare strade diverse, dirci cose diverse.
È anche così che ci attiriamo le stesse esperienze. Che diventiamo come uno di quei cricetini che girano sulla ruota, ed usano le loro energie per farla andare. Si arrabattano anche se non si spostano di un millimetro, restano sempre nello stesso posto. E poi, scarichi ed esausti, riposano, per essere poi pronti per ricominciare. Non andando mai da nessuna parte.
Magari ciò non ci rende felici, ma siamo diventati dipendenti da questo modo di scaricarci e di mantenere un’omeostasi. Giungendo poi alle solite conclusioni, ovvero: sono sempre fermo qui.
Come si esce da essere come quei cricetini, non lo so: forse con un calcio nel culo da parte di qualcuno, o di qualcosa, un evento che ci capita o che ci siamo attirati.
Sarebbe sicuramente utile un atto di volontà: lasciare la ruota, e fare qualche passo fuori dalla gabbia.. incerto, con timore o addirittura terrore, perché non siamo più nella nostra comfort zone, ma nell’ignoto. Un ignoto che però potrebbe darci la speranza di qualcosa di diverso dalla solita ripetizione, farci sperimentare cosa c’è d’altro, cosa c’è di nuovo.. A piccoli passi e un passo dopo l’altro. Che correre, subito, forse non ne saremmo capaci, o potrebbe portarci a sbattere.. occorre prudenza.
Prudenza, coraggio e volontà.
Vincere la voglia di guardarsi indietro, la nostalgia di quel conosciuto che, se per noi è disfunzionale, se non ci conduce verso il nostro cammino, ma ripercorre quello imparato e impartito da qualcun’altro, non ci porta verso la gioia, ad esprimere la nostra anima autentica: quella che ci fa sentire in contatto con noi, e con qualcosa di più grande, e ci fa sentire bene.
Trovare la forza per guardare ferite, traumi, difese, e risposte apprese, per comprenderle, lavorarci, e depotenziarle.
Per perseguire quella gioia a cui abbiamo diritto
Non siamo nati per il sacrificio, per il dolore: quelli ci sono comunque nella vita. Non devono essere l’obiettivo verso cui tendere, ma il mezzo per comprendere come godere delle cose belle che il mondo ci offre.
Che ci sono. Che possiamo vedere, toccare, respirare.. se guardiamo avanti e ci guardiamo attorno.
E, soprattutto, se guardiamo dentro.
Dalla parte della luce.
aprile 2024
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