Viaggi di testa e viaggi nel mondo

Pensieri e Parole

Sei sempre in giro!

 

 

Sei sempre in giro!

 

Ebbene sì, sono sempre in giro.

In posti mai visti, in posti già visti, in posti sognati.E, talvolta, mai quanto vorrei.Col mio bisogno di respirare, di vedere e di sentire la bellezza.

 

Ebbene sì, sono sempre in giro.

A far la spesa, a prender e portare la figlia, a fare cose utili e cose inutili, a vedere gente.Io sono sempre in giro anche sul divano. Dentro a un libro, o dentro a un film, o quando scrivo. Nella storia di un altro o nella mia storia.

 

Ebbene sì, sono sempre in giro

Con la mia testa, coi miei pensieri, con le mie ansie e le mie preoccupazioni. Con i miei sogni e desideri. Coi momenti bui e quelli neri. Col mio bisogno di mettermi in moto. Che poi quel che si vede e si condivide è lo straordinario, ciò che entusiasma, non la tristezza o i travagli quotidiani.

 

 

 

Ebbene si, sono sempre in giro.

Ma tu, lo sai a cosa rinuncio? Sei disposto a fare scelte diverse? A privarti di qualcosa, se volessi anche tu andar più in giro?

 

Ti hanno insegnato il sacrificio?? che non meriti?? che “..magari un giorno…”?? che non è necessario??Anche a me. E a questo io mi ribello.Assumendomi sensi di colpa e di tradimento.Ma non rinuncio all’idea che cercare il piacere significhi onorar la vita.

 

 

Ebbene sì, sono sempre in giro.

Con i miei viaggi nel mondo, o nella mia testa.Che c’è di male?La vita è una sola, te ne sei accorto?   

Sempre in giro e sono grata!                                                                         

Meglio un uovo oggi ..chè… del domani non c’è certezza!

 

Fuggo quando, e se, posso, con la coscienza sempre vigile.Sono scelte.Sono viva, faccio scelte.Un morto non va in giro; non pensa, non legge, non guarda, non sente, non respira: resta fermo.E io non ho voglia di morire, per ora, che sono ancora viva!

 

“Quando arriverà la morte

voglio che mi trovi vivo”

 

 

 

marzo 2023

 

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Voracità

 

 

Vogliamo fare cose, vogliamo viaggiare, vogliamo comprare, vogliamo vedere persone, avere followers.

Vogliamo leggere, commentare, condividere, vogliamo avere stimoli continui, vogliamo avere tempo libero. Per occuparlo.

Siamo smaniosi.

Vorremmo sempre qualcosa di più e troviamo sempre qualcosa che manca. Più soldi, più cose, più persone attorno, più amore. Una casa più bella, un viaggio più lungo, un lavoro più figo, un’immagine invidiabile.

Siamo vogliosi di accumulare oggetti, momenti, ricordi, più che possiamo. Di guardare, di sentire, di gustare, di appagare tutti i sensi. Per cercare di dare un senso.

Siamo voraci.

Come se tutto dovesse sfuggire e fosse da rincorrere.

Come se niente fosse mai abbastanza.

Attenti a guardare gli altri che hanno di più, che fanno di più. Che hanno una vita migliore. Ci pare.

Avidi, ingordi, bramosi di esperienze, di sensazioni, di emozioni.

Come se avessimo una voragine da colmare. Come se fossimo un pozzo senza fondo, se avessimo un buco da riempire, che non dà mai la sensazione di essere pieno.

Incapaci di trattenere, modalità usa e getta; passaggio da una cosa all’altra senza soluzione di continuità, troppo veloce, senza raggiungere mai la sensazione di sazietà.

Un appagamento effimero e l’abbastanza che dura sempre troppo poco.

Avanti un altro, avanti altro, avanti ancora.

Senza dare spazio e tempo all’assimilazione, alla sedimentazione. Digestione veloce, nutrimento scarso.

Senza dare spazio a una tregua, al tempo del vuoto, che permette di sentire e scegliere coscientemente.

Senza dare spazio a quella capacità di accontentarsi, percepita con disprezzo, che invece ha il significato di “appagare con misura, segnando un confine“.

Con la paura che fermarci significhi smettere di vivere, di sentire, perdere qualcosa o qualcuno.

Mentre forse, è soltanto noi, la nostra anima, che, per star dietro a tale voracità, stiamo, senza accorgercene, inesorabilmente perdendo.

 

 

Siamo voraci.

Il problema è di che cosa siamo voraci.

Se è di qualcosa che ci fa stare fuori di noi, un modo per essere in fuga costante.

Se è di qualcosa che ci getta in un vortice di dipendenza, bisogni indotti, coazione, incapacità di discriminare. Che ci vede ingozzarci, in preda a una fame bulimica incessante. O a una distrazione deleteria.

O se è qualcosa che ci dirige verso quello che desideriamo, e ci acquieta, con un appagamento saziante.

Perche voracità può anche significare curiosità, passione, vitalità.

Dovremmo essere voraci di ciò che ci nutre, che ci illumina, che rimane. Che porta a fare quelle cose che ci vengono da dentro, che sono motore, che ci motivano. Che ci arricchiscono di presenza e attenzione per ciò che stiamo vivendo.

Col nostro unico sguardo, o altro senso, grato, a quella voracità, che ci ha portato fino a lì.

 

Di ogni verità, anche il contrario è vero.

Siddharta

 

 

gennaio 2022

 

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Cosa chiedere a Babbo Natale: il coraggio di desiderare

 

 

Anche a desiderare ci vuole un gran coraggio.

 

 

“Sir, ha già scritto la lettera a Babbo Natale?”

“Lloyd, Babbo Natale non esiste”

“Ma esiste ciò che gli si potrebbe scrivere, sir”

“Questo non vuol dire che a Natale riceverò quello che ho chiesto”

“Non si preoccupi, sir. Per allora il regalo l’avrà già ricevuto”

“E quale sarebbe, Lloyd?”

“Il coraggio di desiderare, sir”

“Portami carta e penna, Lloyd”

“Con molto piacere, sir”

 

da Vita con Lloyd del 19.12.2022

 

Cosa desidero?

Di fare un bel viaggio, in un paese che da tanto vorrei visitare? Lasciare la tristezza che mi provoca l’inverno, i luoghi consueti, per riacquistare un po’ dell’energia della bellezza, della spensieratezza?

Di esaudire un sogno?

Che i miei genitori stiano bene e non litighino, che il gatto non stia troppo male, che mia figlia sia tranquilla, o comunque in pace, per quel po’ che può esserlo un’adolescente?

Di avere qualcosa in più, o che non mi venga tolto qualcosa?

Di avere più libertà per fare le cose che mi piacerebbero, di avere meno pensieri e più intraprendenza, di dare meno peso alle cose che mi toccano ma che non sono importanti?

Di fare più cose con gli amici, di poter condividere più momenti insieme ed esperienze, di trovare un senso anche alle giornate che scorrono col nulla, senza avere la sensazione che il tempo passi sprecato?

Che la guerra finisca, che la deriva, in cui pare ovunque si precipiti, si fermi, che il mondo diventi migliore?

Che coloro che hanno perso persone care trovino un po’ di conforto, un senso per sopravvivere?

Di continuare a credere in qualcosa, a credere e basta, ad avere fiducia, nonostante tutto, nonostante il tutto, nonostante tutti?

Concordo, il coraggio di desiderare è un gran regalo, e anche il chiedersi e comprendere con coscienza quale siano i desideri profondi. Ci vuole coraggio ad avere fiducia, e a credere in tempi migliori. E ci vuole la forza che ha il desiderio, che trascina e motiva, e che, a volte, da un senso.

Io so che ogni volta che mi addentro in queste riflessioni giungo alla conclusione che l’unica cosa che forse dovrei desiderare è di trovare la pace dentro. Quella che mi consenterebbe di poter affrontare tutto il resto, anche in mancanza dell’esaudimento dei desideri stessi. Quella che mi consentirebbe di apprezzare e riuscire a provare gratitudine per quello che ho e che ho avuto, senza guardare alla vita al di fuori, alla vita degli altri. Senza chiedere cosa potrei fare o avrei potuto fare.

Ma, forse, questa pace è peculiarità solo dei saggi, dei risolti, che non mi sembrano poi tanti in giro, o degli illuminati di cui si legge sui libri.

Quindi anch’io prendo carta, penna e coraggio, e scrivo, per non avere il rimorso di aver lasciato qualcosa di intentato.

 

 

dicembre 2022

 

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Linee di confine

 

 

Ho una strana attrazione per i confini. Forse  perché ho lavorato tanto sui miei, fragili, a volte troppo indefiniti, che mi hanno indotto, talvolta, ad immedesimarmi in modo camaleontico con altro da me.

I confini hanno il loro senso perché identificano e ci identificano. E una volta riconosciuti e fortificati, il bello è poterli varcare, ovvero superare ciò che ci confina appunto, per conoscere altro, il diverso.

Trovandomi a Gorizia, città di confine, non ho potuto fare a meno di seguire il desiderio di arrivare a Piazzale della Transalpina, dove, con un passo, dall’Italia si passa in Slovenia.

Avevo letto che al centro del Piazzale c’è un punto che divide le due nazioni e la città stessa, che da un lato si chiama Gorizia, dall’altro Nova Gorica.

 

 

E’ una linea che un tempo era un grosso muro di difficile valico, vecchio confine tra Italia e Jugoslavia, abbattuto nel 2004, quando la Slovenia entrò a far parte dell’Europa di Schengen, e che ha lasciato il posto a uno strano monumento: un cerchio sulla piazza che definisce il passaggio tra i due paesi.

 

 

Qui, si può passare da uno stato all’altro, ci si può cimentare nell’essere da una parte o dall’altra, come fanno i tanti che si fermano e fanno questo gioco, scattandosi foto. Ma si può anche sperimentare, non solo fisicamente ma anche metaforicamente, il confine, e fare qualche riflessione, attivando la consapevolezza: qua ci sono io, là ci sei tu, qui sono nella mia terra e lì sono in terra straniera. Si può superare il confine, e vedere cosa accade dentro di noi.

 

 

Cammino con curiosità su una strada poco affollata, dal centro di Gorizia, e mi avvicino a quel confine.

 

 

Ascolto quello che sento.

Penso che, in fondo, la città è la stessa, vista da una diversa angolazione, con diverse peculiarità, lingua, cultura, storia. E che anche gli abitanti, gli uomini, sono gli stessi: tutti esseri umani, simili, anche se con diverse peculiarità, lingua, storia e cultura.

Mi dirigo verso il punto indicato dove deve esserci il Piazzale. Arrivo nei pressi, e mi accorgo che cammino per un pò proprio sulla linea di confine.

 

 

Mi sento un po’ spaesata: non capisco bene dove mi trovo. Perdo la strada, e mi accorgo di averlo varcato il confine: per un pò non so più se incedo da una parte o dall’altra, nella mia terra o in terra straniera.

Sono confusa, mentre constato che cambiano le insegne, la lingua diventa da italiano a sloveno..

Poi, vedo apparire un edificio elegante, che ricorda le archittetture dell’impero austro ungarico, bellissimo,

 

 

Davanti c’è una grande piazza: è Piazzale della Transalpina, e l’edificio è la stazione ferroviaria Jesenice-Trieste, in Slovenia.

 

 

E poi ci arrivo, in quel punto ben definito nel mezzo del piazzale, dove basta un piccolo passo per restare, o per andare in territorio diverso.

 

 

Sperimento consapevolmente: lascio la mia terra e sono in terra straniera..sono sempre io, ma sento che qualcosa cambia in me.

Posso passare da una parte all’altra restando me stessa, mantenendo salda la mia identità, con la curiosità verso posti e spazi nuovi, che mi appartiene; cambiare punto di vista; andare verso qualcosa a me ignoto, diverso, aumentando le possibilità di conoscenza di quel che sento, di quel che vedo.

E penso che a volte abbiamo paura di varcarli, i confini.

Che a volte è semplice, basta un passo, mentre a volte ci perdiamo. 

O li difendiamo per paura di far entrare, per paura del diverso, dell’invasione.

Penso che a volte i confini sono solo nella nostra testa, altre volte sono muri di protezione, da abbattere, da trasformare in linee di definizione.

E il frutto del lungo lavoro fatto su me stessa, mi dice che solo quando li abbiamo ben chiari e delineati, i nostri confini, possiamo sentirci sicuri e possiamo sapere dove andare. E possiamo trascenderli, restando noi stessi, senza perderci, senza la paura e il rischio di diventare qualcos’altro, qualcun’altro. Come l’acqua che resta tale dentro a una bottiglia, ma diventa fango se versata nella terra.

 

E subito mi è chiaro il concetto:

che i confini, solo quando li hai definiti, sai dove sei e sai chi sei.

E non hai bisogno di difenderti

 

 

ottobre 2022

 

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Figli adolescenti: quello che i genitori vorrebbero (e dimenticano)

 

 

Li vorremmo belli buoni bravi intelligenti e geniali.

Li vorremmo impegnati ordinati sensibili migliori, spesso diversi. Talvolta. Per un aspetto o per l’altro.

Li vorremmo come piacciono a noi, per esserne orgogliosi, per esserne fieri.

Per appagare il nostro bisogno narcisistico di genitori.

 

Li vorremmo uguali a noi, pur preservandoli dai nostri stessi traumi, ferite, lacrime.

Vorremmo facilitare loro le cose, dargli comodità, spianargli la strada. Talvolta.

Li vorremmo saggi e responsabili senza l’apprendimento dagli errori e le conseguenze dei misfatti.

 

E’ umano.

E tante volte facciamo anche fatica ad ammetterlo.

Dimenticando che con le cose difficili e scomode si cresce. Che con ferite e sofferenze si comprende.

 

Vorremmo che fossero meno arroganti, irruenti, sfacciati, sfrontati, meno aggressivi, meno in conflitto con noi.

Non considerando che se ci sfidano si preparano alle sfide della vita.

Che se ci combattono stanno lottando per affermare la loro identità. Per cercare di conquistare la loro autonomia.

Che vogliono provare di essere qualcuno, sentire che esistono. Vogliono sentirsi visti.

 

Vorremmo non vedere sulle loro facce l’inquietudine, lo spaesamento, il peso delle scelte.

Vorremmo che osassero di più, o di meno. Talvolta.

Dimenticando che devono sperimentare, sentire, imparare, elaborare.

 

Vorremmo che facessero le scelte che ci piacciono, la scuola promettente, il lavoro entusiasmante, le strade più facili.

Dimenticando che la cosa più importante è infondere la passione.

 

Vorremmo che ci parlassero, che non mettessero così tanta distanza tra noi e loro, avere più elementi per capirli.

Dimenticando che stanno cercando la loro strada, di farsi una loro idea, di voler loro capire.

 

Vorremmo un po’ di gratitudine per i nostri sacrifici, e di indulgenza per i nostri sforzi nel cercare di capire, di adeguarci, di accogliere. Essere compresi, noi, per la nostra impazienza, ansia, le arrabbiature, le interferenze, il controllo.

Dimenticando che è una ruota che gira. Di quanto ci siamo sentiti noi incompresi, inadeguati, respinti, non riconosciuti. Comprendendo ora i nostri genitori.

 

Vorremmo riconoscerci in loro. Almeno per qualche parte, invece spesso stentiamo a riconoscerli. Estranei che sembrano usciti da un altro corpo, appartenuti ad un’altra famiglia. Talvolta. Oppure li vediamo tanto uguali, e siamo fieri o spaventati di ciò.

Non realizzando che se li vogliamo uguali a noi è per sentirci meno soli, anche nel male e meno impauriti.

Che devono differenziarsi da noi per diventare autonomi. Donne e uomini adulti.

Come deve essere.

Vorremmo che non passassero tante ore con gli smartphone, che non stessero tutto quel tempo chiusi nella loro stanza, oppure in giro; vorremmo che avessero più il senso della misura, che spesso tanti adulti non hanno.

Dimenticando che stanno cercando il loro posto nel mondo, che stanno cercando di capirlo, questo mondo, che stanno prendendo le loro misure.

Che molto spesso hanno bisogno di trovare una direzione e di sperimentare. Di un confine, che magari faticano a trovare in noi. Rischiando che lo trovino fuori, quel confine: un muro dove sbattono, una tranvata che gli arriva in faccia.

 

Vorremmo che corrispondessero alle nostre aspettative per non sentirci non abbastanza bravi come genitori, o delusi.

Dimenticando quale sia il loro bene. Che non importa quello che vorremmo noi, ma quello che vogliono loro. Non importa quello che vorremmo che fossero ma quello che loro vogliono essere.

Dimenticando che non sono un nostro prolungamento, e non sono la misura del nostro valore, ma esseri umani alla ricerca della loro strada. Come siamo stati noi.

 

Allevare per lasciare andare è un duro compito. Ma questo è.

Non è semplice come genitori raccapezzarsi tra passato e futuro, vecchio e nuovo, consueto e insolito.

Ma non sarà la pompa al nostro orgoglio o le nostre aspettative soddisfatte che li renderanno migliori.

 

E se ci pensiamo bene,

solo una cosa è importante e dovremmo volere:

che siano felici,

che siano liberi.

 

E questo dovrebbero sapere.

Affinchè possano impegnarsi a trovarsela da soli, la loro felicità, la loro libertà.

 

 

 

(considerazioni  rivolte a me stessa e a tutti i genitori di figli adolescenti che ho sentito e che si riconoscono -o li riconoscono- in atteggiamenti, dinamiche, emozioni)

 

 

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Quando il tempo è passato

 

 

Arriva un giorno in cui ti rendi conto che non hai più tutte le possibilità.

Che tra poco non avrai più tutte le energie per fare qualunque cosa ti piaccia e non hai tutto il tempo per rimandare qualcosa che vorresti fare. Che i sogni devono essere ridimensionati, ma che diventa indispensabile mantenerli.

Arriva un giorno in cui sei ancora in tempo a decidere se continuare a non vedere, chiudere un occhio o due, mentirti inconsciamente, o con coscienza, per sopravvivere, o accettare il rischio di una verità scomoda o dolorosa, ma in definitiva liberatoria e onesta. E nonostante quella, dirti che è andata così, e cercare pace e motivi di gratitudine.

Quando ti rendi conto che non hai più le forze per continuare a fuggire o combattere, in qualsiasi modo hai fatto fino ad ora, e non sai come fare per uscire da te, per non incontrare un qualche malessere.

Un giorno in cui ti accorgi che non va più bene tutto, che non tutto è più adatto a te, che devi cercare il modo di trovare qualcosa di adeguato, anche se non è quello che preferisci.

Un giorno in cui devi trovare diverse motivazioni, accettare nonsensi, recuperare valori, adottare comportamenti diversi, pena una lotta continua con l’avanzare della vita.

Un giorno che è importante che tu comprenda se i sacrifici hanno ancora un senso, visto che il tempo si riduce. E se ha un senso dare peso e spazio a cose e persone poco importanti, o che ti fanno stare male.

Arriva un tempo in cui devi essere bravo ad accorgerti quando rischi di cadere nel ridicolo, quando rischi di cadere nella voglia di farti compatire o di richiedere attenzione in modo malsano.

Un tempo in cui puoi guardare quelli che sono più avanti di te e con coscienza fare ogni sforzo possibile per evitare di smettere progressivamente di non vedere l’altro ma solo te stesso, diventando vittima e carnefice. Perché così hai la possibilità di dar spazio a un minimo di saggezza.

Un momento in cui  sarebbe importante guardare bene e consapevolmente la tua realtà, e nello stesso tempo essere capace di scappare, sfuggire consapevolmente alla mancanza di futuro, progetti, prospettive, facendo quel che puoi, e senza condanne. Dirti la verità sul passato, sul futuro, sulle conquiste, sui fallimenti, su di te, sugli altri, sul mondo attorno. Combattere e sfidare in un modo nuovo.

E poi, non guardare nè avanti nè indietro, e neanche guardarti troppo attorno: chi non c’è, chi c’è e come c’è. Praticare tutto il possibile per prendere le distanze: da te, dai pensieri grigi e funesti, da quello che ti impedisce di vivere bene il tempo rimasto. Che, si sa, è meno di quello ormai trascorso.

 

 

settembre 2022

 

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Fuggire per ritrovarsi

 

 

Quando fuggo non fuggo da me dai miei problemi. Fuggo per ritrovarmi. Perché mi rendo conto di essermi allontanata troppo da me e devo ritrovare il mio centro, le mie risorse.

Per saper vedere le cose dalla giusta e misurata prospettiva senza esserne fagocitata. Senza essere sopraffatta dall’ansia, dalla paura, dal senso di impotenza e distruzione che albergano in me, che ho necessità di far tacere, di tenere a bada perché non mi servono.

Quando fuggo è perché ho bisogno di girarmi dalla parte illuminata dell’ombra, quella che fa vedere bene e chiaro. Non stare nella luce abbagliante che mi fa chiudere gli occhi. E nemmeno nel buio che non mi fa vedere. Ma stare nel punto in cui con chiarezza posso vedere e da lì ripartire, con la carica necessaria per proseguire oltre, consapevole di quello che ho alle spalle.

Quando fuggo è perché sono alla ricerca di un bello che da fuori risuoni dentro di me. Di una verità, di una compassione, di una apprezzamento per me stessa e per il mondo, che spesso fatico a riconoscere, o dimentico, imbrigliata negli automatismi e nelle dinamiche di tutti giorni. Di scatenare quella curiosità che fa ancorare al presente e nutre l’animo, che riconnette col tutto e col profondo. Che fa sentire che non è tutto perduto, che ancora esiste e si può vedere la meraviglia e alimenti desiderio di perdersi nel mondo, nella vita

Quando fuggo, non fuggo prendo spazio, prendo tempo, prendo respiro. Prendo, per me.

 

giugno 2022

 

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Quel poco che deve bastare

 

 

Ci sono tante cose che ho capito, meno che ho imparato.

Ho capito che talvolta devi fare con ciò che c’è, e da ciò che c’è, trovare il meglio ed apprezzarlo.

E che ci sono momenti in cui da una goccia d’acqua devi imparare a portare dentro l’oceano, o il cielo da cui è generata.

Che spesso è importante abbandonare l’idea dei grandi piaceri, per poter apprezzare quelli piccoli, talvolta nascosti, ma più alla portata. Quelli che, in altri momenti, non sempre vedresti, potendo spaziare, ma che possono far battere il cuore, far prendere aria.

Ho capito che spesso occorre spaccare il capello, rovistare vicino e dentro i dettagli, per trovare un bello snobbato o considerato scontato, quando non si possono perseguire sogni più grandi.

Ho capito che è importante cercare una meraviglia accessibile in poco, che esiste sempre, se si affina lo sguardo. Ampliare la visione, acuire l’ascolto, e farsi nutrire da cose semplici ma buone, quando non si può fare un succulento e raffinato pasto. In attesa di ciò che attendiamo di assaporare di nuovo.

Ho capito che è giusto, in certi momenti, come consigliano i saggi, restare nel qui e ora, per vivere a fondo, o non generare più angoscia con l’immagine di eventi o giorni nefasti. Che talvolta è necessario guardare vicino, a quello che c’e, quel poco che mette in moto energia, e dona entusiasmo – una piccola gioia –, piuttosto che a quello che manca. Che nella vita sono importanti  questi attimi, brevi, fugaci, questi luoghi vicini, che scaldano il cuore, tra l’oscurità, l’incertezza e i sogni.

Ma che altre volte la cosa migliore è guardare avanti, a prospettive future e diverse possibilità, fare progetti, che siano piccoli o grandi, per spostare l’attenzione e avere uno scopo. Eh, sì, certe volte davvero devi fare, con quello che sogni, auspicando tempi migliori per realizzare quello che vuoi.

Ho capito che quando tutto intorno si muove e tu sei fermo, e niente pare poterti trascinare via dalla tua immobilità, paralisi, costrizione, devastazione, devi mettere in moto qualcosa dentro di te. Che sia sognare o alzarsi e camminare, guardarsi attorno, entrare in un’altra storia, distrarsi, o soltanto andare lontano da sè.

E che accontentarsi non sempre significa accontentarsi di poco, rassegnarsi, rinunciare o non mirare alto, ma acquisire la saggezza di imparare a prendere il meglio da ciò che si ha, che pure può dare belle soddisfazioni. Che poi, vuoi mettere la gioia di quando ti accorgi che vedi un bello, improvviso e inaspettato, in piccole cose o in luoghi vicini o scontati? La soddisfazione di saper apprezzare, trarre nutrimento, da quello che puoi?

Ho capito che ci sono momenti in cui l’odore del mare ti porta a paradisi lontani o in luoghi sognati, di cui devi conservare il sogno, in previsione del giorno in cui tornerai.

E …  che..

..può arrivare un momento in cui posso sentire che quello che c’è, quello che ho, quello che deve bastare, mi basta. Dopo una vita trascorsa con la sensazione che nulla fosse mai abbastanza, compresa me. E questa è una grande conquista.

 

Questo ho capito, ma non so se ho imparato. Perché tra capire e imparare c’è di mezzo il mare. Quel mare che basterebbe, spesso, ad accorciare le distanze, tra il poco che basta e un desiderio cullato.

 

 

maggio 2022

 

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Svegliarsi altrove

 

 

Se c’è una cosa che mi piace è svegliarmi con altre viste.

Non che non mi piaccia la vista di casa mia, anzi, la adoro, abito nel verde in campagna, tra campi di girasoli d’estate e il canto del cucù di maggio; gli istrici che escono in notturna e gli scoiattoli che si arrampicano sugli alberi; sento il cinguettio degli uccellini, il verso dei fagiani, e vedo le lepri correre nei prati…

 

 

Ma altre viste spezzano la routine.

Allargano gli orizzonti.

Risvegliano gli entusiasmi.

Danno straodinari e differenti modi e motivi per iniziare la giornata.

 

 

Essere da un’altra parte, per un po’, vedere un panorama diverso dalla finestra e respirare aria nuova, ricarica, rinvigorisce, rianima.

 

 

Eccita per tutto quello che non si conosce, a cui si va incontro.

Che si deve vedere, ed è sconosciuto.

Qualcosa che si è scelto e che si aspetta, che spesso è inaspettato.

 

 

E anche se già visto, e quindi non nuovo, solamente perchè non consueto, è elettrizzante.

Adrenalina che scorre nelle vene.

 

 

Viste che fanno dimenticare, per un attimo, un’ora, un giorno, i problemi, gli insoluti, il solito.

Che spezzano la noia o la fatica.

Viste che fanno staccare dalle abitudini, brutte o belle che siano.

 

 

Per la novità, quel diverso, quel non conosciuto  quell’inaspettato, inconsueto, imprevisto, di cui anche i più abitudinari routinari hanno necessità, magari senza saperlo, per sfuggire da sè e dagli altri. Che ne abbiamo bisogno tutti.

Fuggire dalle cose che ingabbiano, o da cui ci si fa ingabbiare. Dalla noia, dal piattume, dallo sfinimento, dalla mancanza di vitalità.

 

 

Svegliarsi altrove.

Un diverso risveglio, una diversa visione che si prospetta.

Nuovi entusiasmi, di cui talvolta abbiamo proprio bisogno.

Bisogno di sorprese e di essere sorpresi, di sorprenderci.

Di trovare quelle scintille di euforia che aiutano ad andare avanti.

Con la gioia che tutti quanti meritiamo.

 

 

 

aprile 2022

 

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Appunti per un naufragio e L’abisso

 

 

Lo scorso anno siamo andati in vacanza a Lampedusa.

Abbiamo letto un libro che era ambientato proprio dove eravamo.  “Appunti per un naufragio.”

 

 

Mentre leggevamo quel libro stavamo di fronte a quel mare, dove tutto era accaduto e dove tutto accadeva. Quasi sempre, davanti a noi, la nave quarantena ci ricordava che non leggevamo soltanto una storia.

 

 

Abbiamo letto ed ascoltato tante storie.

 

Storie di padri e di figli. Di relazioni recuperate o perdute. Di madri, di dispersi, di ricongiungimenti. Di salvataggi e di morti. Di accoglienza e di solidarietà. Di torture, di crudeltà e sofferenza.

 

Qualche sera fa siamo andati al Teatro Comunale di Giovanni in Persiceto (Bo), vicino a casa nostra.
Abbiamo visto lo spettacolo tratto da quel libro, raccontato da chi lo aveva scritto, Davide Enia.

 

Abbiamo ritrovato posti, persone, storie.

 

E la stessa emozione.

 

 

 

“In “Appunti per un naufragio” emerge la vera storia di persone accomunate dall’esperienza della fragilità della vita, che come una rivelazione spinge ognuno verso un nuovo approdo, verso l’ascolto e la scoperta dell’altro.”

 

La storia degli altri arriva all’anima e si interseca con la propria storia personale, toccando l’umanità, le paure, le fragilità e i desideri che tutti abbiamo in comune.

 

 

Come a Lampedusa, quando leggevo il libro, anche a teatro in certi momento ho pianto.
Ascoltando le voci di chi si trova davanti a persone che hanno affrontato il mare, che hanno subito torture, che non avevano più niente da perdere.
 
Di chi si trova davanti a cadaveri, a chi non ce l’ha fatta, a chi se ne è andato cercando una vita.
 
Di chi si trova a dover scegliere chi salvare, o a ricomporre corpi, o a fare un gesto di accoglienza, offrire una tazza di te, una coperta.
 
Di chi si trova davanti alle proprie emozioni, alla paura, all’impotenza, alla compassione.
Di fronte a situazioni forti, tremende, disperate.
Di fronte alla morte.
 

 
Come dicono le parole di Emily Dickinson, in una targa posta all’ingresso del cimitero di Lampedusa

 

 

Per uno sconosciuto, gli sconosciuti non piangono”.

 

 

Certi racconti dovrebbero sentirli o leggerli tutti.

 

Certi incontri sono davvero speciali.

 

E capitano così, quasi per caso.

 

 

Appunti per un naufragio- ed Sellerio

L’abisso – Davide Enia e Giulio Barocchieri

 

Ogni vita è sacra

 

gennaio 2022

 

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Patrizia Pazzaglia, Patty dopo un po’.

Sono versatile, camaleontica e un po’ nevrotica. 

Una come tante.  Nessuna grande passione, ma so appassionarmi.

Prendo tutto molto sul serio e in tutto quello che faccio, se mi interessa, ci metto impegno e dedizione.

Scarsamente tecnologica, diversamente social.

Mi piace condividere, mi piace ascoltare, esprimermi, se è il caso, e stupirmi.

Mi piace vivere intensamente e andare in profondità delle cose che mi interessano e lasciare andare ciò che non mi serve (anche se con difficoltà).

Mi piace lasciarmi contagiare dalla bellezza e dalle emozioni e..naturalmente viaggiare, fuori e dentro di me, col corpo e con la mente (ma anche con lo spirito).

Perchè la vita è un gran bel viaggio.