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opere: arte, cultura, esperienze e bellezza, nutrimento dellanima

“Bagno per signore”: intime confessioni e scomode, ma sane, verità

 

 

Oggi racconto di un viaggio in cui all’inizio ti chiedono di slacciare le cinture di sicurezza..

È un viaggio nelle storie di alcune donne, personaggi di una produzione del Teatro delle Temperie, il teatro del mio paese, dei cui sempre toccanti spettacoli, ho spesso scritto: 5 scene, con 2 interpreti, ambientate nel bagno, luogo che è metafora dell’intimità, e dei segreti più reconditi che si nascondono nell’anima. Un posto dove la verità, quando è il tempo, come i bisogni fisiologici, non può fare a meno di uscire, non lasciando più spazio alle bugie e alle maschere: davanti allo specchio del bagno, o comunque all’interno di quelle quattro pareti, ci si ritrova di fronte a se stessi, e alla propria vita.

I personaggi raccontano di tradimenti: quelli delle madri, che tramandano alle figlie un ruolo tradizionale, e non accettano quando quest’ultime non si riconoscono più in quel ruolo e in quella vita, e della ferita di abbandono che causano loro. Quelli delle figlie, -necessari per liberarsi,- quando queste si accorgono che non riescono, o non vogliono più aderire a quei ruoli assunti per eredità, per educazione, o per cultura, che spesso hanno fatto loro credere di volere cose che non erano quelle che realmente volevano, con tutta la sofferenza e lo smarrimento che ne consegue. Raccontano della necessità di trovare una nuova identità, di “ripartorirsi”, e del bisogno di cominciare ad ascoltarsi, cosa che nessuno, forse, ha mai insegnato loro a fare.

Raccontano di conflitti interni vissuti, di quando “scende la catena”, e non ce n’è più per nessuno (o, come dicono,  “scoppia la bolla nel cervello”), con la voglia di rompere con quello a cui non si appartiene più. Una presa di coscienza di ciò che sembrava vero,- una vita famigliare, un’idea, un’aspettativa, un sentimento,- qualcosa che riempiva la vita, che poi si rivela idealizzato, senza consistenza, o che si sgonfia, o muta, lasciando la sensazione di delusione, di essere in trappola, con l’impeto inarrestabile di voler buttare tutta la propria vita all’aria, o nel cesso appunto, perchè si intravede una possibilità di liberarsi, e si riesce finalmente ad immaginare una vita diversa.

E, anche, di quando, non volendo riconoscerli, i conflitti, si manifestano come una forza dentro che esplode in incontrollabili attacchi di panico, impossibili da gestire. Di quando, per sopravvivere, si arriva ad anestetizzare i propri sentimenti; o di quando si resta bloccati da qualcuno che fa leva sulle paure, che paralizzano, e rendono incapaci di accorgersi che non c’è nulla di vero in quello che vogliono fare credere.

Toccano anche l’assenza di solidarietà femminile, e l’emergere talvolta di una certa perfidia, che sconfina nell’esercizio di quel potere, che si sente di non avere sulla propria vita, sulla vita di un altro simile, con l’arma della paura.

E, soprattutto, raccontano del vuoto: della solitudine profonda che questo genera quando non ci si riconosce più, non si sente più un‘appartenenza, non ci si sente capiti, o quando si vede il mondo attraverso un vetro, e lo si percepisce, -e ci si percepisce,- irraggiungibili, con la sensazione che nessuno si accorga che c’è qualcuno dall’altra parte dello schermo; di quando un’aspettativa nutrita piomba nella realtà, e fa cadere tutte le illusioni, come un bozzolo che doveva contenere un sogno, a lungo custodito e curato, che rivela il niente che c’è all’interno. E anche di quando accade che il vuoto è nella pancia, fisicamente, in un utero che non si può riempire, e nella credenza comune che la vita, e la persona, perda di valore.

E poi c’è il vuoto che lascia la morte di una madre, la mancanza di qualcuno sopra di noi, che veglia, qualcuno nei cui pensieri sappiamo essere sempre presenti, che è dentro di noi, nel bene e nel male. Che dobbiamo arrivare a tradire, e talvolta lasciare andare, anche prima della sua morte fisica, lei o la sua eredità, per essere libere. E per le più “fortunate”, si può intravedere anche la possibilità del recupero di una parte saggia, che insegna ad essere resilienti, ad essere in grado di affrontare la vita al meglio, nonostante le intemperie da attraversare.

 

 

In definitiva, lo spettacolo ci mette davanti ad esseri umani che si trovano a guardare nella loro vita cio’ che esiste davvero, o non esiste più, o non è mai esistito. Esseri umani che si interrogano e che forse hanno cominciato da poco a vedersi e a darsi le loro risposte, con una buona dose di coraggio. A donne che apparentemente sembrano fuori di sè, ma questo essere fuori di sé è cosa buona, poichè è frutto dell’aver guardato finalmente dentro di sé. Persone che comprendono che, a volte, fare la cosa sbagliata, o che il mondo ritiene tale, può essere la cosa giusta, per loro stesse. Temi densi che possono far risuonare dentro ad ogni spettatore qualcosa che lo riguarda.

 

“Bagno per signore” è l’ennesimo spettacolo di Andrea Lupo che fa il suo dovere: da dà pensare.

Una delle mie prime riflessioni, a caldo, alla fine, è stata che viene difficile credere che il testo sia stato scritto da un uomo, per le corde che tocca, insinuandosi nei meandri dell’animo e della storia femminile. È magistralmente interpretato, e con grande coinvolgimento, da 2 attrici che si rivelano bravissime e capaci di far emozionare, Silvia Frasson e Mara Di Maio.

E’ uno spettacolo toccante, che, se si accetta di slacciare le cinture di sicurezza, come richiesto, puo’ far viaggiare in territori impervi e scottanti, ma che contengono importanti verità.

Perché, volenti o nolenti, è la verità, che rende liberi, non le illusioni.

 

dicembre 2024

 

foto: Teatro delle Temperie

https://www.teatrodelletemperie.com/events/bagno-per-signore/

 

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Formigli e Massini, racconti e verità sul pianeta che affonda come il Titanic: la cultura che può portare salvezza

 

 

Sono stata a vedere ieri sera, a Modena, lo spettacolo di teatro civile di Corrado Formigli e Stefano Massini:

 

“TITANIC, IL PIANETA AFFONDA MA L’ORCHESTRINA CONTINUA A SUONARE”

 

Informazione, storie, racconti, di ciò che non si sa e si dovrebbe, o di cui si ha ricordi sbiaditi; di ciò che non viene neanche commemorato, mentre sarebbe importante averne memoria; o di quello che è risaputo, ma su cui si preferisce far calare il silenzio. Quello che non si vuole vedere, per non intaccare l’avanzamento di un inarrestabile progresso, che potrebbe compromettere un mondo di apparente benessere..

 

Monologhi e dialoghi per far riflettere, per incentivare scelte, e magari per riuscire a far cambiare qualcosa, qualche comportamento. Una goccia nell’oceano, -si può pensare,- ma ricordiamo: sono le gocce che formano gli oceani.

Prendere coscienza, anche attraverso uno spettacolo, un’artista, un giornalista: questa è LA CULTURA. E’ ciò che “mette in luce“, tra tutto lo scontato, il dimenticato, l’ignorato, tra il fare senza pensare alle conseguenze, -ovvero l’irresponsabilta‘.

Ciò che riporta all’attenzione, e fa smuovere le coscienze.

Ciò che amplia la propria visuale, che spesso è ridotta ad un presente senza visione del futuro.

Ciò che, attraverso la conoscenza e il sentire, mette in grado di prendere posizioni.

 

Quando tutto è cominciato?

E’ una delle domande.

Quando l’uomo ha iniziato a mettere in primo piano il potere, rispetto alla sopravvivenza dell’ambiente, quindi di noi esseri umani. Quando hanno acquistato più valore piaceri effimeri e denaro, rispetto al valore della vita delle persone.

Quando l’uomo ha cominciato a negare, non voler vedere, quello che gli era scomodo seppur nocivo; e da Sapiens si è trasformato in Homo Potents, volto a sovrastare, col potere, le leggi di una natura, che inevitabilmente si ribella, e le leggi dell’etica. A disinteressarsi del futuro, nonostante genitore di figli, che si ritroveranno in eredità devastazioni, squilibri, irreversibilita’.

 

 

E come l’orchestrina del Titanic ha continuato a suonare mentre avveniva la tragedia, ci si ritrova a vivere in mezzo al disastro annunciato, magari guardando con ammirazione chi può permettersi un cocktail raffreddato da cubetti di ghiaccio provenienti dagli iceberg della Groenlandia.

Da Greta Thunberg a Rockfeller, dalla grande carestia cinese al più grande disastro ambientale mai avvenuto, in India nell’84, che ha causato, solo all’inizio, 5000 morti, a Bohpal, -me lo ricordo bene, ero una ragazzina-, dalla nostra vicina Ilva, ex Italsider, con i morti che ancora si contano, all’esplosione della piattaforma petrolifera nel golfo del Messico del 2010 (che, chi si ricorda più??), e i danni irreversibili con il riversarsi del petrolio nel mare e nell’aria che respiriamo …

Con la solita incisività, capacità di raccontare e collegare fatti e ragionamenti, Formigli e Massini, ieri sera a Modena, nel caldo torrido di piazza Roma, ci hanno riportato a questi drammi, spesso dimenticati, ai personaggi che hanno tentato di aprire gli occhi all’opinione pubblica, a quelli che hanno avuto delle responsabilità, e a quelli senza scrupoli, con l’obiettivo di sensibilizzare e diffondere.

Riproponendo a noi, alla nostra coscienza, la fatidica domanda

 

“Che cosa lasceremo ai nostri figli”?

 

e la riflessione riguardo a se non vale la pena chiederci di che cosa abbiamo realmente bisogno, o di che cosa possiamo fare a meno, e se non sia necessario un cambio di rotta: interrompere l’orchestrina e pensare davvero alla salvezza, per evitare il tragico naufragio, finché siamo in tempo.

Perché, come dicono i nostro eroi, è sempre una questione di scelte.

Bravissimi, Formigli e Massini, per la passione con cui hanno portato questi argomenti, per la passione per l’inchiesta, la ricerca e la condivisione della verità; per l’impegno nel trasmettere l’importanza di fare la propria parte, sempre, e comunque, al di là della propria professione e di conservare la dignità come esseri umani

 

 

17.07.2024

 

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Opere

 

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Lisbona e Pessoa: la struggente saudade contagiosa

 

 

“Non sono niente,

non sarò mai niente,

non posso voler essere niente.

A parte questo, ho dentro di me tutti i sogni del mondo.

(Tabaccheria, Poesie di Álvaro de Campos, uno degli eteronomi di Pessoa)”

 

Pessoa è nato a Lisbona e morto a 47 anni di cirrosi epatica.

Poeta inquieto, lucido, realista, tormentato, introspettivo, intenso, controverso, contraddittorio. Come i personaggi inventati con cui firmava le sue opere.

 

“Sono la scena viva sulla quale passano svariati attori che recitano svariati drammi”.

 

La difficoltà a tenere insieme tutti i pezzi. La consapevolezza della moltitudine da cui è formato l’animo umano.

Solitatorio e silenzioso.

Concordo con chi dice che travolge come un fiume in piena chi viene in contatto con i suoi scritti.

Io non lo avevo mai conosciuto, se non sentito il suo nome.

Ma mi è bastato un attimo, la lettura di pochi scritti, per sintonizzarmi con la sua anima.

 

I sentimenti più dolorosi e le emozioni più pungenti, sono quelli assurdi: l’ansia di cose impossibili, proprio perché sono impossibili, la nostalgia di ciò che non c’è mai stato, il desiderio di ciò che potrebbe essere stato, la pena di non essere un altro, l’insoddisfazione per l’esistenza del mondo.

 

 

Guardare la realtà, e guardarsi dentro con onestà, contemplando i travagli, l’inquietudine, che alberga, o ha albergato anche nelle anime più gioiose.. con quella saudade struggente per ciò che è andato, si è perso o non si è vissuto, ma che sa di vissuto, di coscienza

 

 

Lisbona lo ricorda, e va fiera, di colui che è considerato, postumo, uno dei più grandi poeti in lingua portoghese.

Nel suo ricordo, trasmette completamente la sua energia.

 

“Siediti al sole. Abdica, e sii re di te stesso”.

 

E’ sepolto nel chiostro del Monastero do Jeronimos.

 

 

Nelle foto, la statua in omaggio a Pessoa nel Chiado, in Rua Garret, nello storico cafe’ da lui frequentato Brasileira; un ricordo all’interno della libreria più antica del mondo, Livraria Bertrand, sempre in Rua Garret; un murales nelll’Alfama;

 

maggio 2024

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Il Cristo di San Giovanni della Croce di Dalì

 

 

Quando ascolto quello mi succede davanti a un capolavoro, comprendo nella pratica che è vero che il linguaggio dell’arte è un linguaggio universale, che parla al cuore delle persone. Che tocca qualcosa che appartiene a tutti, nonostante tutto, e nonostante noi, e sopra al livello della coscienza.

Ero a Roma per lavoro, e mi sono trovata, per caso, a dover modificare il mio itinerario, percorrendo via del Corso, da Piazza Venezia, per andare verso Piazza del Popolo.

Arrivando davanti alla chiesa di San Marcello del Corso, un pannello ha catturato la mia attenzione: c’era scritto che all’interno della chiesa era esposto, per un breve periodo di tempo, un dipinto del Cristo di Dalì

 

 

Io una mostra di Dalì l’avevo vista a Matera, nel dicembre 2021, e mi era piaciuta moltissimo: in molte parti della città si potevano ammirare le sue sculture più famose, e all’interno di una chiesa rupestre era stata allestita una mostra stupenda dal titolo “La persistenza degli opposti”, dove si trovavano alcuni dei famosi orologi molli e molte altre sue opere.

Non ci ho pensato quindi 2 volte ad entrare nella chiesa, e poco oltre l’ingresso, in uno spazio raccolto, dai toni del rosso, mi è apparso, flebilmente illuminato, il grande dipinto: ho subito capito di essere davanti ad un capolavoro.

 

 

Il Cristo di San Juan de la Cruz, o Cristo di Port Lligat, è stato ispirato a Dalì dal frammento piccolissimo di un disegno di San Giovanni della Croce, una reliquia che si trova esposta proprio sotto al dipinto, che non si riesce quasi neanche a vedere, dentro al contenitore dorato che la contiene: bisogna leggere la storia per capire di cosa si tratti. Entrambi i disegni ritraggono il Cristo sospeso sulla croce visto dall’alto, un punto di vista davvero singolare

 

 

Ho ammirato il quadro da più angolazioni, e ho ascoltato quello che mi trasmetteva. La prima cosa che mi è saltata all’occhio sono stati i colori, la contrapposizione tra il cielo nero, in alto, e le tonalità dell’azzurro del cielo e del mare, in basso, che fanno pensare alle tenebre della morte, e alla luce, ai colori, della vita.

Sotto alla croce, sospesa nel buio, infatti, come un flash, appare un altro mondo, una barca appena approdata dal mare e un uomo che si accinge a mettere i piedi sulla riva, mentre altri si trovano già su quella terra.

Le sensazioni che mi hanno trasmesso le due immagini contrapposte, sono state l’angoscia, la tristezza che genera la morte di un uomo in croce, in antitesi con la gioia dell’arrivo ad un approdo, dell’uomo che, dal mare, giunge a un porto sicuro. Per i credenti, una scontata successione: il sacrificio di dare la vita, per l’inizio di nuova vita.

Ammirando da lontano non si può fare a meno di notare che il Cristo sembra solo appoggiato alla croce, senza chiodi che lo trattengano, sangue, segni di sofferenza, sul corpo; la testa è reclinata quindi non si vede il viso. Nell’insieme, la croce e il corpo formano un perfetto triangolo equilatero sospeso nel buio. Guardando da vicino, l’imbarcazione sulla riva sembra uscire fuori dal mare, e dal quadro, come fosse tridimensionale

 

 

L’emozione che mi è salita davanti a questo quadro di Dalí è stata impetuosa e irrefrenabile: mi sono commossa di fronte a tanta bellezza, e anche dopo essere uscita, ed essermi allontanata, lungo la strada ancora ero pervasa da quello che avevo sentito, e facevo fatica a trattenere le lacrime.

Come mi è successo altre volte, mi sono sorpresa e meravigliata, per la capacità degli artisti di arrivare al cuore delle persone e di riuscire a portarci, con il loro talento, a fare un viaggio oltre il tempo, lo spazio, le differenze, in quelle emozioni, in quel sentire che appartengono universalmente a ciascuno di noi.

 

giugno 2024

 

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Hirayama, insegnami la gioia dei Perfect days

 

 

 

Già dal trailer, l’ultimo film di Wim Wenders, ha risuonato nella mia anima, ed ho avvertito un desiderio irrefrenabile di vederlo. E non ha tradito le mie aspettative: mi è piaciuto moltissimo!!

Un uomo, a Tokyo, in Giappone, vive le sue giornate tutte uguali.

Fa un lavoro umile, pulisce i bagni pubblici della sua città, con grande dignità ed estrema accuratezza, come se fosse il lavoro più importante del mondo.

 

 

Ogni mattina, quando esce di casa, dopo tutti i suoi rituali quotidiani, guarda il cielo sorridendo. Poi va a prendersi un caffè in lattina ad un distributore automatico e se lo beve sul suo furgone.

Si lascia contagiare dalla musica che ama, e dal suono antico delle musicassette, che ascolta mentre va al lavoro; dalle persone strane, e un po’ al limite che incontra, che guarda con rispetto, interesse e curiosità, e anche con grande benevolenza; dalle chiome degli alberi che si stagliano nel cielo blu, che osserva ogni giorno durante la pausa pranzo, nel giardino dove si reca a mangiare il suo sandwich.. .. e in questo mi ha ricordato i momenti in cui anch’io, sdraiata sulla mia amaca in giardino, resto ore a guardare i rami e le foglie delle querce nel cielo!

 

 

Hirayama, il protagonista di Perfect days, è un uomo di poche parole, ma la sua presenza parla per lui. Si esprime prevalentemente a cenni e gesti, e parla solo quando non ne può fare a meno, dicendo l’indispensabile. L’essenziale è la sua caratteristica.

Vive con l’essenziale, fa una vita umile e semplice, e – si intuisce – non è sempre stato così, è frutto di una scelta o di una necessità.

Mette tutto se stesso in quello che fa, ed è un uomo gentile, ha grande empatia con il mondo attorno, che guarda e ascolta con interesse.

 

 

 

Vive di abitudini, riti e ritmi: tutto è sempre uguale nelle sue giornate, ma non si percepisce alcuna monotonia o pesantezza, solo ritualità, ordine, e assenza di aspettative.

Vive nel suo mondo, solitario, senza legami, senza tecnologia, principalmente osservando, e sfiorando soltanto la vita degli altri.

Vive nel presente, perché come dice

adesso è adesso, un’altra volta è un’altra volta”.

Elementare Watson, viene da pensare, ma, poi, cosi elementare non è.

Inforca la sua bicicletta quando si deve muovere nella sua caotica città, al di fuori degli orari di lavoro

 

 

Vive in un alloggio semplice, senza doccia, e con poche comodità; va a fare la doccia nei bagni pubblici e lava i suoi abiti di lavoro nelle lavanderie; riserva grande cura, ogni mattina, al riordino della sua stanza, ed annaffia con dedizione le sue piantine; si prende cura di se stesso e del posto nel mondo che si è ricavato; mangia nei soliti posti, dove lo conoscono, e gli portano il solito piatto, senza che debba nemmeno chiedere; la sera legge libri selezionati usati, che compra in un piccolo negozio, alla luce di una lampada, nella sua camera da letto; ascolta le canzoni anni settanta, di Lou Reed, Patty Smith, dei Rolling Stone, di Nina Simone, e così via, ogni giorno andando al lavoro….

Di questo è fatta la sua vita, la sua routine.

Che si svolge con estrema leggerezza, senza il tormento e la noia della ripetizione dei giorni tutti uguali, e senza prospettive immaginate o desiderate.

Anzi, quando si sveglia, ogni mattina, e segue la stessa sequenza di gesti, e poi esce e guarda il cielo, facendo il primo respiro fuori casa, si percepisce il piacere di un nuovo giorno da vivere.

“It’s a new life, for me, yeah. It’s a new dawn. It’s a new day. It’s a new life, for me. And I am feeling good” (Nina Simone)

 

E’una nuova alba
E’un nuovo giorno
E’una nuova vita
Per me
E’una nuova alba
E’un nuovo giorno
E’una nuova vita per me
E io sto bene

 

Un nuovo giorno che non ci si aspetterebbe che fosse così apprezzato, visto che è identico a tutti gli altri.

Che ci si aspetterebbe non riservasse incognite, ma che, inevitabilmente, talvolta arrivano. Senza fare nulla.

 

Oh freedom is mine

That’s what I mean
And this old world is a new world
And a bold world for me

 

 

In contrapposizione a questi giorni immutabili, senza prospettive, Hirayama stupisce, a un certo punto, dicendo che

se non cambiasse qualcosa nella vita tutto sarebbe assurdo.”

 

Perché lui sa che può fidarsi del domani, dell’ignoto. Del nuovo giorno.

Forse ha imparato dalle sue esperienze; forse ha maturato una saggezza; sicuramente ha fatto delle scelte. E ha imparato ad avere fede e ad accogliere. E che null’altro era possibile fare.

 

 

Ha fatto pace con se stesso, e probabilmente con l’ombra di un passato doloroso (che per un attimo si riaffaccia nel suo presente). Ora le ombre le osserva guardando le chiome degli alberi, e la bellezza del gioco di luci ed ombre che fanno nel cielo, e cerca di catturare quell’attimo di luce sfavillante che penetra, con la sua macchina fotografica analogica, ancora col rullino. Il cosiddetto “komorebi”, parola giapponese che definisce questo concetto: il momento in cui la luce filtra tra le foglie degli alberi. Un momento magico, poetico e di rara bellezza, che entusiasma e ricarica. Una danza, un rimando all’impermanenza di tutte le cose, alla verità che non esiste luce senza ombra. Alla ricerca dello spiraglio di luce nell’oscurità. Che non occorre esser chissà dove, per trovarlo: basta il cielo, un albero con le foglie, e un po’ sole che si insinui.

Bisogna attendere oltre i titoli di coda per trovare questo accenno, come se il regista volesse lanciare un ulteriore messaggio che chi resiste fino alla fine e non se ne va prima, avrà il privilegio di comprendere.

Hirayama sembra aver trovato un equilibrio nella sua vita.

Non ci è dato di sapere quanto abbia impiegato, e quanto gli sia costato: possiamo solo immaginarlo da un’emozione che lo travolge, in un momento in cui rincontra il suo passato.

Non ci è dato sapere se sia felice: e qui mi torna alla mente un discorso ascoltato ad una conferenza di Vito Mancuso:

La felicità è un’emozione in balia della realtà, va e viene, è un sentimento dell’ideale.

La gioia è una disposizione che viene dal lavoro interiore, e permane, non dipende dal sapere, dal riconoscimento, ma dal reale, dall’onestà intellettuale, dal voler mettere ordine in idee e sentimenti.

La felicità esalta, mentre la gioia porta tranquillità.

 

Lui vive con questa tranquillità: è riuscito a trovare nelle piccole cose la gioia, quindi a dare un senso a quel che fa, e alle sue giornate; a mantenere, -nonostante la vita,- l’amore per la vita.

E tutto ciò lo trasmette con il suo sorriso, che emoziona. Con i suoi occhi, che fanno capire che la vita vale la pena di essere vissuta. Anche senza troppo clamore, ma sempre con presenza e attenzione.

E chissà che la vita stessa non gli riservi delle belle sorprese!

 

 

Perfect days è un film che può non piacere a tutti: ha pochi dialoghi, non ha colpi di scena, può risultare noioso. Ma ci sono i rumori, le ombre, le espressioni, le musiche meravigliose, le immagini di Tokyo, e dei bagni pubblici, che sembrano talvolta opere d’arte. E soprattutto c’è la vita e tutto il mondo interiore di Hirayama, che ha molto da insegnare.

Soprattutto in un’epoca in cui ci si riempie di cose, persone, aspettative, prospettive; in cui si vive voracemente, egocentricamente, di corsa, accecati dai desideri e dalla mira del successo. Insoddisfatti, distratti, senza pace e spesso senza gioia.

Insegna l’importanza di nutrirsi di bellezza, e di cercare quella bellezza anche impercettibile, fonte di gioia, nelle piccole cose.

E che

 

Il mondo è fatto di tanti mondi. Alcuni di questi sono connessi tra loro, altri no.

 

Il film ci mostra un mondo, che può essere un’alternativa. Un mondo discreto e attento, così lontano da quello della visibilità e del clamore in cui siamo abituati a vivere, spesso con frustrazione.

 

Questo, quello che mi ha trasmesso Perfect days. Io l’ho amato, questo film; ho amato il personaggio di Hirayama (e la straordinaria interpretazione di Koji Yakusho), ho amato i suoi perfect days, e il suo meraviglioso sorriso, il suo essere contento di iniziare ogni nuovo giorno. E se potessi gli lancerei un messaggio:

 

Insegna anche a me, caro Hirayama, ti prego, come trarre gioia ogni giorno, affinché anche le mie giornate diventino dei “perfect days”

 

 

 

Gennaio 2024

Qualche recensione interessante:

https://www.vanityfair.it/article/perfect-days-film-wim-wenders-recensione

 

 

 

Perfect Days, come la routine può salvare il mondo

 

 

https://www.doppiozero.com/ombre-e-gabinetti-perfect-days-di-wim-wenders

https://www.spiweb.it/cultura-e-societa/cinema/recensioni-cinema/perfect-days-di-w-wenders-recensione-di-e-marchiori/

https://www.4pareteita.it/2024/01/14/guida-visione-perfect-days-canzoni-libri-wim-wenders/

 

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Questo mondo non mi renderà cattivo .. io lo spero!!!

 

 

📌Ho visto tutto d’un fiato i 6 episodi della nuova produzione di animazione di Zerocalcare, su Netflix, e mi è piaciuta moltissimo: è toccante, emozionante, stimolante, e di parte...  per me la parte giusta  🔝

Michele Rech, in arte Zerocalcare, nella serie “Questo mondo non mi renderà cattivo“, si dimostra, a mio avviso, la persona più empatica di sempre; esprime il solito spessore e la capacità di guardare anche le parti e le persone più scomode, per capire cosa ci sia dietro; evidenzia la capacità di mettersi in discussione dialogando con la sua coscienza, e la capacità di vedere oltre se stesso, (e agli istinti narcisistici che appartengono più o meno a tutti noi): quella che consente di vedere altro, e l’altro.

 

 

I contenuti e il messaggio sono di ispirazione, affinché delusioni, disillusioni, paure, compromessi, esperienze dolorose, sogni infranti, e tutto ciò che ne consegue, non riescano a sopraffare la nostra essenza, i valori che ci portiamo dentro, la purezza, l’umanità, e il proposito di impegnarci così che il mondo, e quello che vediamo, e talvolta dobbiamo subire, non ci renda cattivi. Che non è cosa così facile, non scivolare nella cattiveria rabbiosa o nell’indifferenza!

Sono un’esortazione a non mollare, a resistere, a ricredersi, a rimanere se stessi, a combattere per i propri ideali, nonostante le difficoltà che si devono affrontare, la propria storia personale, il bisogno che tutti abbiamo di essere visti e ascoltati.

Nonostante la tentazione di fare scelte di opportunità.

Nonostante la trasformazione del mondo e della società in un modo non sempre giusto ed etico, e la modalità, oggi sempre più in auge, di ridurre a cose di poco conto, semplificare e trattare con superficialità, argomenti e problematiche complesse, che necessitano invece di visioni più ampie ed umane ed un atteggiamento di accoglienza.

Sono un invito a mettersi nei panni degli altri, anche di quelli a cui attribuiamo il torto, -a quelli diventati “cattivi”-, considerando le loro ragioni, il disagio, le responsabilità.

 

 

Una cosa che mi ha colpito, e che comprendo, è quella sorta di senso di tradimento che investe chi ce l’ha fatta; un senso di colpa, come se si abbandonasse qualcuno, perchè si è riusciti ad affrancarsi, o perchè si riesce a stare bene in qualche momento, ad essere felici. Anche se pensiamo che ce lo siamo meritato, che tutto è frutto di un duro lavoro,  è davvero difficile lasciare indietro chi ha fatto scelte diverse, chi trova sempre motivi per essere infelice, chi non ce l’ha fatta e probabilmente non ce la farà. E che se tentiamo di aiutare, rischiamo che ci porti nel burrone insieme a lui. Chi da sempre la colpa agli altri ed è votato al sacrificio, ma con cui conserviamo un legame, e la cui modalità, con cui siamo cresciuti, abbiamo, con fatica, abbandonato. Per farcela, noi.

 

Le mie riflessioni, dopo aver visto il lavoro del fumettista romano, sono state che..

 

io lo spero, di non diventare cattiva!

 

Spero che le mie intenzioni non vengano annientate.

Di riuscire a proteggermi dalle cose distruttive, malate, malsane, disfunzionali, che incontro; dalla tentazione di arrendermi, gettare la spugna, perchè tutto è troppo faticoso e perchè ogni sforzo spesso pare vano, e senza risultati.

Di riuscire a mantenere occhi e orecchie attenti e vigili, e presenza, fuggendo solo quando mi pare necessario per la mia sopravvivenza; di trovare la forza di sopravvivere anche in mezzo alle macerie, e poi… trovare sempre una motivazione per vivere! Nonostante le sfide della vita che mettono davvero a dura prova!

So che ci saranno (come ci sono stati) momenti in cui mi proporrò di “essere cattiva”, che la vedrò come una soluzione; come sono certa che ci saranno momenti in cui riuscirò ad esserlo davvero; e molti altri in cui le altre persone penseranno che io lo sia. . ma forse, almeno nei primi due casi, come finora è stato, non durerà a lungo, perchè mi devo sforzare: lo faccio solo per reazione e per difesa, e questa forse sarà la mia salvezza.

 

 

Come dopo aver visto la serie precedente “Strappare lungo i bordi”, tante cose mi si sono mosse nelle budella, dove alberga quell'”ovosodo” (cit. film Virzì), che anch’io forse mi devo rassegnare a tenermi, e che non va nè sù nè giù.. Ma mi hanno lasciato una bella sensazione, difficile da esprimere: come se qualcosa avesse preso definizione, avesse trovato voce. E, nella condivisione degli intenti e delle sensazioni, avesse mosso anche una sorta di fiducia contagiosa.

E subito mi è presa una gran voglia… di “anna’ a pija un gelato“‘ 😁

 

“Tranquilli e sereni praticamente non ce stamo mai, perché intorno hai le macerie.. e chi cazzo di sciacallo sta bene nelle macerie?

 

 

trama e recensioni interessanti:

https://www.repubblica.it/serietv/netflix/2023/06/09/news/zerocalcare_nuova_serie_questo_mondo_non_mi_rendera_cattivo-403534052/amp/

https://www.gamesurf.it/recensioni/serie-tv/questo-mondo-non-mi-rendera-cattivo-recensione

 

giugno 2023

 

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Il Labirinto della Masone (PR): perdersi tra le canne di bambù

 

 

A volte è bello girare senza mappa, senza riferimenti, andare davvero dove mi porta il cuore, l’intuito, qualcosa che mi piace o mi attira.

Sapendo che mi smarrirò, ma senza che mi importi perdere tempo.

Perdermi, vagare, ripassare dove sono già stata. Lasciarmi disorientare, senza preoccuparmi. Ripercorrere le stesse strade, senza per ciò innervosirmi, ma esserne divertita.

Sapendo che prima o poi, la strada giusta per l’uscita la troverò.

 

 

Una bella metafora da vivere, un allenamento all’ottimismo, e, magari, un modo per imparare qualcosa, al Labirinto della Masone, in località Fontanellato di Parma

 

 

Il Labirinto della Masone è il labirinto più grande del mondo e la sua particolarità è di essere composto interamente di piante di bambù.

 

 

 

Cosi ci si trova ad inoltrarsi per un percorso insolito, stretto, e a volte poco luminoso, prevalemente composto di alti fusti di diverse specie di bambù, che a volte si piegano formando come una capanna sopra di te.

 

 

Una galleria vegetale, sotto cui è bello camminare e ossigenarsi, vedendo in fondo una via d’uscita, ma non la fine della strada

 

 

E il mio pensiero va ai panda, quei bellissimi animali, e a quanto potrebbero essere felici lì, loro che si nutrono quasi esclusivamente di queste canne

 

 

Le canne di bambù sono verdi, gialle, strette, larghe, alcune piegate in modo strano

 

 

e osservarle è una bellezza

 

 

La strada da trovare è quella verso il centro (come nella vita si cerca la strada  per arrivare al centro di se stessi), dove in una piazza quadrata di duemila metri quadri, si trova una piramide

 

 

 

Al suo interno c’è una piccola cappella, che da proprio la sensazione di essere giunti al centro, al cuore di questo luogo, come ad un tesoro

 

 

Il labirinto nasce dal sogno di un uomo, Franco Maria Ricci, da sempre affascinato dai labirinti, e dalla bellezza, che ha sempre cercato durante tutta la sua vita.

 

La bellezza è inevitabile

 

 

Questo il suo motto. Che mi ha colpito, presupponendo il fatto che non sia possibile non incontrarla, poichè il mondo ne è cosparso, di bellezza: spetta a noi la scelta, se farcene contagiare oppure no.

 

Francesco Maria Ricci

 

 

Finiti gli studi come geologo, Francesco Maria Ricci lavora nel settore dell’estrazione del petrolio, ma scopre poco dopo che non è quello che avrebbe voluto fare. Diventa allora grafico ed editore, dando anche lustro a un carattere di scrittura nuovo, il Bodoni, che usa poi in tutte le sue pregiate pubblicazioni. Diviene grande viaggiatore, e da vita a FMR, una rivista d’arte che diventa la più diffusa nel mondo. Mette insieme una pregiata collezione d’arte, 500 opere del periodo dal 500 al 900, che si può apprezzare nel Museo del Labirinto, con pezzi davvero belli e interessanti, sculture, busti dipinti, disegni, ecc,

 

 

Il suo obiettivo è di cercare il bello anche nelle opere minori, quelle non conosciute, scartate, che con quest’occhio vanno guardate. Alcune sono davvero bellissime

 

 

Tra queste non mancano opere importanti, come un autoritratto di Ligabue, e 2 quadri stupendi raffiguranti teste di tigri, dello stesso pittore.

 

 

Le sue pubblicazioni sono raccolte in una bella biblioteca, e i libri dell’editore sono consultabili: salta all’occhio l’esortazione, contraria a quelle della maggior parte dei musei, a consultarli

 

 

Imperdibile l’interessante documentario sulla vita di Franco Maria Ricci, per conoscerlo ed apprezzarlo, riprodotto in una sala occupata dalla sua bella biblioteca personale

 

 

Deciso a realizzare il suo sogno di costruire un labirinto in terra natale, in mezzo ai campi della sua infanzia, con l’intento di farne anche un luogo di cultura e di esposizione della sua collezione d’arte, scopre che il bambù trova un terreno favorevole in quella terra bagnata dal Po, e che è una pianta molto adatta per il suo scopo, visto che cresce velocemente e non perde le foglie. Fa arrivare quindi dalla Cina 50000 piante, che ora sono diventate 300000, disposte in circa 7 ettari di terreno (alcune hanno raggiunto anche i 15 metri di altezza). E’ così che nel 2015 realizza il suo sogno, inaugurando il Labirinto della Masone.

 

 

Il labirinto ha la forma di una stella a 8 punte, come una cittadella medievale; come un borgo medievale protetto dalle mura, questo è protetto dalla vegetazione, e ha una piazza nel suo centro: diventa un vero e proprio “un borgo della cultura

 

 

Ho trovato il Labirinto della Masone un luogo incantevole da visitare. Sia per la bellezza da vedere, che per le sensazioni da sperimentare, tra cui la possibilità di entrare nell’ignoto, ma in sicurezza, in un luogo misterioso, ma senza timore alcuno

 

 

Dove ci si può lasciare andare, perchè forse ha proprio ragione colui che ha scritto sulla porta della toilette delle signore:

 

 

Prima di entrare nel museo, o al labirinto -anche qua si presenta subito una scelta su dove andare per primo- è esposta una meravigliosa Jaguar nera, che fu di Franco Maria Ricci, che ha catturato subito l’attenzione del marito

 

 

All’ingresso, c’è una torretta, dove si può salire e vedere il panorama dall’alto, ma per la vista della stella non è ancora un’altezza sufficiente

 

 

Il labirinto prende il nome dalla via dove si trova, nella campagna parmense; al suo interno ha anche un bel ristorante e un bistrot, con prodotti del territorio, e a prezzi accettabili. Sono presenti inoltre 2 suite per chi volesse fermarsi in un luogo insolito a dormire.

Home Labirinto

 

Quando si ha la possibilità di camminare nel sogno di un uomo, si può comprendere quanto grande sia la potenza dei sogni, e dove questi possano portare. Anche a lasciare impronte, piccole o grandi che siano, che sopravvivono oltre la morte.

Che danno un senso alla vita, ed arricchisono quella degli altri.

 

Non esiste un sogno perpetuo.
Ogni sogno cede il posto a un sogno nuovo, e non bisogna trattenere alcuno.

Hermann Hesse – Demian

 

 

maggio 2023

 

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Sogno dunque vivo

 

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Andando verso il sole … dell’Avvenire.

 

 

Sono andata a vedere l’ultimo film di Nanni Moretti incuriosita dal commento di un’amica, che mi ha detto che le era piaciuto moltissimo, mentre al marito per niente.

Il sol dell’Avvenire, è un film d’amore, un film di politica, un film sulle proprie rigidità e convinzioni, un film sul cambiamento, e anche un film sovversivo, come cita una scena.

Giovanni, il protagonista, è un regista che vive fedele ai suoi principi e alle sue convinzioni in modo assoluto. Se questo da una parte lo rende libero da alcune derive e pieghe che hanno preso le cose al giorno d’oggi, conferendogli integrità, dall’altro lo imprigiona. La rigidità che ne consegue, fino a sfiorare l’ossessione, gli determina un distacco dalla realtà e dagli altri: vive in un mondo suo, dove non vede altro e l’altro, e lo conduce in un precipizio di disillusione e solitudine, che può avere come epilogo soltanto la morte.

Persegue ideali di libertà, si oppone alle cose del mondo esterno che non gli piacciono, ma è incapace di opporsi a se stesso, alle sue roccaforti, che lo rinchiudono nella sua gabbia .. e neanche se ne accorge! Prende da anni antidepressivi per contrastare il suo disagio.

Una serie di batoste che non si aspetta, dalla moglie, dalla figlia, dalla politica, dal lavoro, sui vari piani in cui si svolge il film, distruggono le sue sicurezze. Ma sono quelle stesse batoste che lo salvano: e finalmente si arrende, non nel senso di rassegnazione, che era quella precedente, ma nel senso di resa.

Proprio chi decide di cambiare, e di vivere, chi fa le sue scelte, anche non convenzionali ma secondo quello che sente, chi decide di lottare, perché solo in questo vede una possibilità e una speranza, gli dà una scossa e gli permette di uscire da quell’ingessatura, che lo ha costretto a vivere nel suo mondo, nella depressione e nell’infelicità. 

Un film per me davvero denso e toccante, che mi e piaciuto molto, come mi piacciono quelle cose che toccano le mie emozioni, senza che me ne renda conto e senza che ne capisca subito il perchè: la comprensione arriva dopo il sentire, con tutte le riflessioni e gli spunti che ne derivano.

Mi sono commossa davanti alla possibilità che quest’uomo riesce a darsi (o forse non ne può fare a meno) per tornare a vivere, quasi inconsapevolmente, abbandonandosi finalmente agli eventi. Alla fine, questi, non sono portatori del disastro, ma tutt’altro: i fallimenti e quello che doveva essere la fine di tutto, si dimostrano un nuovo inizio.

Spesso è necessario che ci uccidano per rinascere. E’ necessario essere abbandonati da ciò che ci serve, lasciarci morire, affinchè avvenga una svolta. E’necessario abbandonare le nostre inutili fissazioni e abitudini, le cose e i presupposti poco importanti, che ci danno certezze.

Perché uscire dalle proprie gabbie significa ritrovare la libertà.

Il film mi ha fatto pensare alla straordinaria capacità che abbiamo, noi esseri umani, di attingere, talvolta, a qualcosa di non conosciuto, forse la famosa resilienza, che porta a modificarci e a darci nuove possibilità.

Anche la prima parte in cui Moretti recita in modo perentorio e pedante, che genera quasi un fastidio, e il senso di pesantezza che suscita, è funzionale per trasmettere l’ingessatura del suo essere; come i riti a cui si costringe, e costringe gli altri, per il timore di ciò che deve venire, per scongiurare che le cose vadano male; il suo subire quel vivere con paura, e la necessità quindi di tenere tutto sotto controllo, e che tutto debba essere esattamente come lui vuole.

Niente deve sfuggire, ma tutto poi sfugge. Perché cosi è la vita. Imprevedibile. Cambia.

E se noi non cambiamo con lei, ma continuiamo ad arroccarci sulle nostre seppur giuste convinzioni, siamo destinati all’infelicità e alla solitudine.

L’abilità sta nel restare fedeli a sè stessi e alle proprie convinzioni, senza che ciò ci ingabbi. Nel lasciare andare un passato, un modo di essere che non va più bene, che, appunto, è passato.

Nel danzare con la vita e con le persone che ci circondano, non lasciando che siano solo le parole, le idee a condurci.

Nel conquistare un po’ di quella leggerezza che a volte è necessaria per vivere.

Quella spericolatezza che è tipica dei trapezisti, che si lanciano verso il trapezio, forti di un buon allenamento alle spalle, e quell’eccitazione che coglie noi che li stiamo a guardare.

Il finale, è una specie di marcia su Roma, ed è una marcia verso la libertà. Non più soli, ma con la forza dell’essere insieme agli altri, comunità verso una direzione comune, verso una rinascita, un futuro, l’ignoto.

 

Di questo parla il Sol dell’Avvenire.

Di speranza.

Che la storia può anche cambiare con i “se”: non la storia che è stata, ma la storia che sarà.

E già nel titolo, si cela la speranza: perché nell’Avvenire c’è il sole.

Finalmente.

 

 

maggio 2023

 

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Incontrando Gio Evan

 

 

 

Gio Evan non so come l’ho conosciuto, forse vedendo passare un post su facebook. 

È un giocoliere, con le parole, e riesce a dare, delle cose, un punto di vista molto particolare, esprimendo concetti profondi con poesia e tangibilità. E trovando sempre il lato positivo, costruttivo, istruttivo.

Poi sono andata ad ascoltarmi le sue canzoni.

I suoi testi mi parlavano, esprimevano cose a me conosciute, sentivo una sensibilità affine. Sentivo come se alcune mie emozioni e sensazioni prendessero voce, e come se, dentro di me, si accendessero lampadine.

Mi ha colpito la sua fine attenzione, -delicatezza ed impetuosità-, la sua coscienza. Mi ha toccato a fondo il suo modo di parlare d’amore

 

Se c’è un posto bello, sei te

Ti ci devo portare

Se c’è un posto bello, sei te

Mi ci devi portare

 

(Klimt- Gio Evan)

 

Continuano a colpirmi, e anche a commuovermi all’ascolto, queste frasi:

 

“dormi da me cosi restiamo svegli” 

“tu sei un rischio ma io amo correre”

“non voglio amarti per caso, come se non avessi ferite”

 

Poi è arrivata “Arnica” al festival di San Remo, ed è stato amore al primo ascolto

 

“E sbaglio ancora a vivere e non imparo la lezione

Prendere in tempo il treno e poi sbagliare le persone

E sbaglio ancora a fidarmi, a regalare il cuore agli altri”…

 

Ho riconosciuto la mia eterna difficoltà ad imparare dagli errori e l’estenuante ripetizione degli stessi. Alte aspettative, immancabili illusioni, grandi delusioni.

 

“E voglio farmi scivolare il mondo addosso, E non scivolare sempre io”

 

Ho riconosciuto la mia eccessiva permeablità, la difficoltà a distinguere i confini e a mantenerli, il farmi toccare, troppo, da tutto.

 

“Mica so vivere io…Mi faccio male in un niente. Ma che palle еssere esilе”

(Glenn Miller)

 

E nonostante questo, e le ferite che genera, il non darsi mai per vinti..per fortuna! e provarci sempre, ancora, perchè è ciò che mantiene vivi. 

 

“Per poi dire cosa quanto ha fatto male

Eppure non riesco a rinunciare

Per poi dire cosa quanto ha fatto male

Eppure lo voglio rifare”

(Arnica)

 

 

In occasione della presentazione del suo ultimo libro,Vivere a squarciagola“, a Bologna, sono andata ad incontrarlo.

Già il titolo mi è arrivato dentro come una freccia su un bersaglio: chi non vorrebbe vivere a squarciagola, con tutta la passione, con tutta la forza e la profondità, “succhiare la vita fino al midollo”, per arrivare, per sentire e farsi sentire, per esprimere al massimo la propria potenza?

Ed è stato davvero un piacere ascoltarlo, una conferma di quello che avevo percepito dalle parole dei suoi scritti e delle sue canzoni: ogni concetto apre, fa chiarezza, mi sorprende, e mi stimola alla riflessione. Una grande intelligenza che spazia, un’energia istrionica e irruenta, un pò pazzoide; una coscienza fuori dal comune, che credo possa uscire soltanto da un lavoro profondo, e da chi dalle ferite è riuscito a trarre risorse.

Scappiamo (usciamo dalla cappa, dalla folla), partiamo (dividiamo, selezioniamo, le relazioni tossiche, i  pensieri, i cibi, tutto quello che non ci fa bene) e poi corriamo (iniziamo a muoverci). Per salvarci. In un mondo in cui siamo schiavi del voler dimostrare,- e questo ci viene richiesto-, tiriamo fuori questo mostro (de mostrare) e facciamocelo amico, per diventare migliori. (cit.)

 

 

Ho vissuto tanti anni (o non ho vissuto) anch’io, con la paura di disturbare e mi è piaciuto il concetto che bisogna avere il coraggio di disturbare, per capire che non esiste il disturbo tra persone gentili (cit). Che sono le uniche di cui ci dovrebbe importare.

 

Che belle quelle persone
che hanno occhio,
che chiedi loro una foto
e hanno il senso della fotografia,
hanno il senso dello spazio
ti fanno abbinare con la geometria del luogo
e sfruttano tutte le luci del sole
per dare al volto la luce che meriti
quelle persone che hanno occhio
così in gamba
che quando hai bisogno di una mano
si alzano in piedi
senza che tu chieda aiuto,
quelle persone che hanno lo sguardo allenato
a vedere le cose che non si vedono
che hanno fatto loro l’alfabeto del silenzio,
che belle quelle persone
che hanno occhio
che ti riempiono di punti di vista
quando chiedi loro un parere
che ti guardano senza distrarsi
e per ascoltarti non usano solo le orecchie
usano anche le mani
usano la pelle
ti ascoltano con le guance,
tutto il loro corpo a servizio della voce
che hai bisogno di uscire
che belle quelle persone
che si vestono
senza troppo impegno
perché hanno imparato
che il cuore sta bene con tutto.
[Gio Evan]

 

E voglio credere davvero che

 

“quando ti affidi alla vita, la vita si prende cura di te”

 

 

 

Ora non vedo l’ora di leggermi il libro, e di ricordare anche il mio viaggio in India, di tanti, tanti anni fa, dove le cose che mi accadevano sentivo che erano importanti ma non capivo: il senso non arrivava ancora alla coscienza e tutto si doveva ancora compiere.

 

 

E io… cercherò di continuare a viaggiarmi dentro come ho sempre fatto, e spero di farcela, a portami sempre con me..scegliendo la strada più lunga, che nasconde i paesaggi migliori!

 

 

 

“E ora voglio ballare per casa

Credere che il mondo mi guardi

E sentirmi libero

E ora voglio ballare per strada

Credere che nessuno mi guardi

E sentirmi libero”

(Glenn Miller – Gio Evan)

 

 

 

 

25 maggio 2022

 

EDIT LUGLIO 2024

 

 

EVANLAND – ASSISI 29 LUGLIO 2024 III edizione

Esaudendo un grande desiderio, dopo aver visto il concerto di Gio Evan a Bologna “Fragile e inossidabile”, sono riuscita ad andare alla terza edizione di Evanland, che quest’anno si è tenuta ad Assisi

 

 

dettagli e foto ai seguenti post

 

Evanland, Assisi 29 luglio 2024

Evanland, alcuni video del concerto di Gio Evan

Evanland e Assisi

Evanland e Assisi

riflessioni:

Nessuno si salva da solo

 

È stato bellissimo andare ad Assisi per la prima volta, andare ad Evanland. E ringrazio chi mi ci ha accompagnato❤

 

 

 

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Viaggio nel passato o nel futuro, per ritrovare la pace, finchè il caffè è caldo

 

“Finchè il caffè è caldo”, “Basta un caffè per essere felici”, “Il primo caffè della giornata” sono davvero quel genere di libri che io considero un balsamo per l’anima. 

Dopo un inizio un po’ difficile, per via dei nomi giapponesi, complicati da memorizzare ed attribuire ai personaggi, i 3 libri sul caffè dello scrittore giapponese Toshikazu Kawaguchi li ho trovati coinvolgenti, avvincenti, irresistibili ...pervasa dalla bella sensazione di quando scopro un libro che mi prende, e non vedo l’ora di proseguire a leggere la storia.

Nonostante tutti e 3 i libri siano ambientati nello stesso posto, in una caffetteria di Tokio, -l’ultimo in una ad Hokodate-, e alcuni personaggi siano gli stessi con le loro storie riprese in ogni libro, ognuno dei 3 può essere letto indipendentemente dagli altri, ovvero non c’è una sequenza giusta dal primo scritto all’ultimo, per leggerli. Ritrovare i protagonisti e le loro storie, a cui si aggiunge sempre un nuovo pezzettino, in mezzo ad altre, è davvero sorprendente.

Io li ho letti secondo l’ordine cronologico in cui sono stati scritti: attratta dalla trama e dal successo ottenuto dal primo uscito, ho cercato poi subito il secondo dopo aver concluso il primo, e ho atteso fremente l’uscita del terzo. Con il timore, ogni volta, che il successivo non fosse all’altezza, timore prontamente e felicemente smentito sin dalle prime righe.

 

Di cosa trattano i libri sul caffè di Kawaguchi

Finché il caffè è caldo, Basta un caffè per essere felici, Il primo caffè della giornata sono libri delicati, intriganti, profondi, che danno spunti e ampio spazio alla riflessione.

Raccontano di un paio di caffetterie in Giappone, dove si può tornare indietro nel tempo, ad un momento del passato, oppure del futuro, per incontrare qualcuno, per il solo tempo in cui il caffè servito resta caldo, che deve essere bevuto prima che si raffreddi, pena il diventare un fantasma.

 

 

Regole per ritornare nel passato (o andare nel futuro)

1     una volta tornati nel passato non si può comunque fare niente per cambiare il presente

2     le uniche persone che si possono incontrare nel passato sono quelle entrate nel caffè

3     per tornare nel passato bisogna sedersi su una certa sedia e non ci si può muovere per tutto il tempo

4      bisogna bere il caffè finchè è caldo e non lasciare per alcuna ragione che il caffè si raffreddi.

 

 

 

Molti di coloro che arrivano alla caffetteria vogliono intraprendere questo viaggio nel passato o nel futuro, con l‘illusione che facendo o dicendo qualcosa di diverso si possa cambiare il proprio presente, ma vengono subito avvertiti che il presente non può mutare.

Da qui le rinunce di taluni, e la motivazione di altri a darsi una nuova possibilità: sono quelli che non si arrendono, che non smetteono di credere che si deve essere felici.

Quella che può essere la delusione di chi pensava di poter cambiare il presente, ma che conserva il desiderio forte di andare ad incontrare un caro defunto, o una persona nel futuro, viene compensata da una fatto straordinario, che si scopre soltanto dopo aver fatto l’esperienza: dire qualcosa che non si è detto, incontrare qualcuno mai conosciuto, porre una domanda che tormenta, dare o chiedere una spiegazione mancata, fare delle scuse, sistemare questioni rimaste in sospeso, confessare il pentimento per una scelta sbagliata, incontrare qualcuno un’ultima volta, o vedere quello che è diventato nel futuro, può pacificare, consolare, sciogliere rimorsi o rimpianti, attenuare emozioni, quali il senso di colpa, la rabbia, la frustrazione, la tristezza...

Il presente non può essere cambiato, ciò che è accaduto non può essere cancellato, ma l’incontro può portare una trasformazione. 

 

“.. certe cose cambiano anche se la realtà presente resta uguale..”

Il primo caffè della giornata

 

 

 

Nei libri, davanti a una tazza fumante di caffè e alla scelta di affrontare con coraggio un evento o una persona, qualcosa davvero cambia, e come spesso accade nella realtà, non quello che si immagina, di tangibile, ma qualcosa di più importante, dentro di sè, nel profondo, generando il vero cambiamento. Quello che davvero porta pace, nuovo desiderio di vivere, motivazione e spinta ad andare avanti e con uno spirito diverso. In definitiva, spesso quello che cambia è la percezione degli eventi, la visione da un punto di vista non considerato o sconosciuto.

Tutto questo mi ha ricordato un po’ quello che accade durante una seduta di psicoterapia di tipo gestaltico: si immagina davanti a sé qualcuno, o una parte di sè a cui si deve, o si vuole, dire qualcosa, e dopo aver dialogato con quella persona, o quella parte, scambiandosi fisicamente di posto, aver dato le proprie risposte, capita di frequente che cambi l’atteggiamento, il rapporto, o il sentire, verso quella persona o quella parte di sè, nella realtà.

Mi ha ricordato anche una frase di R.  Bandler che dice

 

“Non è mai troppo tardi per avere un’infanzia felice e un futuro degno di essere vissuto”. 

 

 

I personaggi che si incontrano durante la lettura, alcuni fissi che lavorano o frequentano la caffetteria, altri che si avvicendano nelle storie dei 3 libri, hanno vissuto esperienze dure, traumatiche, stanno soffrendo. Taluni sembrano addirittura senza piu speranza…

Eppure i 3 libri non sono tristi, sono densi di vita; sanno bene descrivere le ferite emotive e dell’anima e trasmettono la sensazione della sconfitta del senso di impotenza, a favore della luce che si vede alla fine del tunnel.

Trasmettono la sensazione che quando si è pronti, ci si può concedere un’altra chance.

Che quando proprio si tocca il fondo qualcosa ancora può accadere per salvarci.

La sensazione di poter vedere quel disegno, che quando si è dentro una situazione, non si riesce a cogliere nella sua completezza.

La sensazione di poter accogliere verità che emergono, che non si riuscivano a vedere o ad accettare, di trovare un senso anche a ciò che ha provocato dolore e devastazione. O comunque, anche quando pare che un senso non ci sia, che è possibile dar vita a nuovi inizi, conquistando un po’ di pace.

Naturalmente tutto deve partire da sè, si deve scegliere di andare alla caffetteria e fare il viaggio.

 

“Dentro ciascuno di noi esiste la capacità di superare ogni genere di difficoltà. Ognuno possiede quell’energia. Ma a volte, quando questa  energia sfugge attraverso la valvola dell’ansia, il flusso si restringe. Più grande è l’ansia, più forza serve per aprire la valvola che libera l’energia. 

Questa forza è potenziata dalla speranza. Anzi si potrebbe dire che la speranza è il potere di credere nel futuro”

Il primo caffè della giornata

 

In conclusione, non è che basta un caffè per essere felici, ma sicuramente cercare di pacificarsi con qualcuno, con se stessi, o con parti di sé, o il fare una scelta, aiuta a vivere meglio, e i 3 libri ce lo mostrano a loro modo: infondono la speranza di una rinascita, di poter conquistare nuove libertà, e la capacità di scegliere, al presente, il meglio per noi.

Durante la lettura di ogni libro di Kawaguchi, più volte ho sognato di fare questo viaggio, di poter andare in Giappone a cercare quella magica caffetteria, poter viaggiare nel passato o nel futuro, e in quel paese a me sconosciuto, e di quietare la mia anima vagabonda….Con questi sogni, oltre a meditare sugli spunti ricevuti, mi sto allenando, andando a prendere ogni tanto il caffè al bar del Tiglio, nel mio paese: non posso viaggiare nel passato o nel futuro ma posso trascorrere un pò di tempo in compagnia di buone amiche, assaporando le cose piacevoli del mio presente.

 

 

 

“La verità vuole uscire a tutti i costi, soprattutto quando si cerca di occultare la tristezza o la fragilità.”

Finchè il caffè è caldo

 

Aprile 2022

EDIT luglio 2023

A febbraio 2023 è uscito un nuovo libro della serie, il quarto, intitolato “Ci vediamo per un caffè”.

Ovviamente appena avuta l’occasione me lo sono divorato!

Il libro è sempre ambientato nella caffetteria di Tokyo, in un periodo precedente l’ultimo; non c’e nulla di nuovo se non le nuove storie, e si incontrano alcuni dei soliti personaggi che gestiscono il locale, ma per me è stato come ritrovare vecchi amici e sentire il piacere di tornare in un luogo conosciuto.

Sono 4 storie, di altrettanti personaggi, che hanno dei sospesi con persone importanti della loro vita, che non ci sono più, – e stavolta anche con un cane, – che hanno il desiderio di risolvere.

Come le precedenti, anche con queste storie, e con i loro personaggi, sono entrata subito in empatia, e mi hanno trasmesso la stessa piacevole sensazione di delicatezza e vulnerabilità, toccandomi nel profondo e infondendomi positività.

Credo che se andasse avanti, Kawaguchi, a scrivere del caffè che porta indietro nel tempo, non mi stancherei mai di leggere: sarebbe sempre come ritornare in un luogo che ho amato, e dove si alimenta la speranza.

 

 

 

 

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Patrizia Pazzaglia, Patty dopo un po’.

Sono versatile, camaleontica e un po’ nevrotica. 

Una come tante.  Nessuna grande passione, ma so appassionarmi.

Prendo tutto molto sul serio e in tutto quello che faccio, se mi interessa, ci metto impegno e dedizione.

Scarsamente tecnologica, diversamente social.

Mi piace condividere, mi piace ascoltare, esprimermi, se è il caso, e stupirmi.

Mi piace vivere intensamente e andare in profondità delle cose che mi interessano e lasciare andare ciò che non mi serve (anche se con difficoltà).

Mi piace lasciarmi contagiare dalla bellezza e dalle emozioni e..naturalmente viaggiare, fuori e dentro di me, col corpo e con la mente (ma anche con lo spirito).

Perchè la vita è un gran bel viaggio.